GIUSEPPE CACCIATORE
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Mi pare, per concludere, che si possa parlare, al di là di punti specifici
di dissenso e di ancora aperta discussione, di un consenso ampio verso
una interpretazione della filosofia di Vico come ritorno alle cose del-
l’uomo, alla dimensione umanologica, avrebbe detto Piovani. È questo,
io penso, uno dei tratti peculiari di una contemporaneità di Vico che non
è astorica e forzata attualizzazione dei suoi itinerari di pensiero, ma possi-
bilità di ripensare il presente anche con le grandi categorie del suo nuovo
umanesimo
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: il ruolo dell’immaginazione come strumento conoscitivo da
affiancare alla ragione, la funzione produttiva del sapere poetico, la fanta-
sia come strumento di sintesi conoscitiva e di espressione simbolica. È
certo interessante notare più di una coincidenza tra il ragionamento di
Trabant sull’umanesimo di Vico e le riflessioni che Edward Said ha affi-
dato a un suo libro postumo sull’umanesimo. Per il grande intellettuale
arabo il segno ‘umanistico’ della filosofia vichiana non è dato tanto da
una interpretazione in chiave prassistica del principio del verum/factum,
quanto da una sua funzione, oserei dire, epistemologica nella fondazione
del
sapere poetico
, cioè di una «forma di conoscenza storica basata sulla
capacità dell’essere umano di produrre conoscenza e non solo di assor-
birla passivamente, in modo reattivo e pigro»
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. Ed è proprio questa con-
cezione ‘laica’ dell’origine e della configurazione del mondo umano che
giche nelle diverse formazioni culturali e sociali. Questo apre un confronto tra l’uni-
versalità pensata da Vico e l’universalità della linguistica moderna. Qui prudentemente
mi fermo solo a registrare le opinioni di Trabant che mi sembrano convincenti, senza
entrare nel merito di questioni e argomenti che conosco poco. Mi riferisco, ad esem-
pio, alle pagine dedicate a Chomsky e a Pinker.
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Valga per tutti l’esempio utilizzato da Trabant, proprio a partire da un significato
contemporaneo che si può attribuire alla vichiana «boria delle nazioni», in riferimento al-
l’uso di strutture e principi antropologici, storici e culturali comuni in popoli diversi. Qui,
osserva giustamente Trabant, non si tratta solo di ribadire un principio epistemologico (il
ritrovamento di principi e leggi di carattere universale nel materiale empirico, ma di
elaborare una idea ‘critica’ della «boria delle nazioni» nel senso di una vera e propria cri-
tica di ogni forma di etnocentrismo. Vico, cioè, addebita alla boria di popoli che si riten-
gono eletti e superiori la falsa convinzione che la propria cultura, il proprio sistema po-
litico e giuridico siano i migliori possibili. Diventa dunque, osserva Trabant, una «neces-
sità politica» avanzare argomenti storici e filosofici che dimostrino, invece, ai popoli «che
tutto quanto essi considerano una loro preziosa conquista specifica, si ritrova allo stesso
modo, o per lo meno in modo simile, presso gli altri popoli […]. Alla base delle diversità
ci sono strutture universali: un Diritto Universale e un Dizionario Mentale Comune, un
insieme di concetti universali, al di là delle differenze superficiali delle lingue» (ivi, p. 21).
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E. W. S
AID
,
Umanesimo e critica democratica. Cinque lezioni
, tr. it. Milano, 2007,
pp. 40-41.
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