ENRICONUZZO
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La prima movenza, dunque, è quella diretta ad assicurare ed evi-
denziare il carattere ‘altro’ che la filosofia assume rispetto al «resto»
dal quale pure insorge, dovendo comunque risiedere nell’orizzonte
della determinazione, e al quale magari ritorna sotto forma di un pen-
siero ‘raffreddato’ rispetto alla sua più attuosa pura ispirazione. Di qui,
nella ‘gradazione assiologica’ delle forme che si introduce pur entro
l’unitarietà dello spirito, il culminare di esse nella purezza della filoso-
fia, della sfera di più piena pertinenza dell’universalità, quando essa
come «universalità attiva o realizzazione dell’universale» si è dovero-
samente liberata dalla sfera dell’‘accidentale’, dalle «angustie del parti-
colare»: ‘salvando’ sempre l’altro da sé, e quell’altro che è il passato,
con un ottimismo incompatibile con il senso drammatico (e che lam-
bisce il tragico) della vita da Garin variamente, ma costantemente, in-
timamente, accudito
15
.
tesi, ad un mio lavoro, al quale ancora mi permetto di rinviare:
La tradizione filosofica
meridionale
, in
Storia del Mezzogiorno
, vol. X, t. III, Napoli, 1992, pp. 17-127, specie
pp. 38 sgg. e relative note.
15
G. G
ENTILE
,
Il carattere storico della filosofia italiana
, in I
D
.,
I problemi della
scolastica e il pensiero italiano
, III ed. riv., Firenze, 1963, p. 212. Si potrebbe parlare,
per quanto attiene a ‘cultura’ e ‘filosofia’, di una ‘gradazione assiologica’ posta sul pia-
no ‘sincronico’, nel mentre si dispone sul piano ‘diacronico’ una più generale ‘grada-
zione’ interna al processo dello spirito umano (e che sempre culmina in una ‘superio-
rità’ del presente, che ha salvato con la speculazione anche la ‘buona empiria’ del
passato), il quale «non può non comprendere dentro di sé tutti i gradi dello spirito dei
secoli precedenti». Ora, chi faccia «storia speculativa» di tale processo – Gentile affer-
mava con precocissima chiarezza e sicurezza colloquiando epistolarmente con Croce
nel 1899 – adopera legittimamente il «genere speculativo» a patto che «comprenda
dentro di sé e superi» il «genere empirico», il quale a sua volta è legittimo soltanto se
anch’esso collabora (al contrario dell’illegittimo «genere erudito empirico») a liberare
il ‘necessario’ da ciò che è accidentale (come le «fantasticherie», gli «spropositi stori-
ci»), insomma da ciò che non può aspirare a configurarsi come «un anello nella catena
dello sviluppo» (lettera del 29 giugno a Croce, in I
D
.,
Epistolario
, vol. II,
Lettere a B.
Croce
, I, 1896-1899, Firenze, 1972, pp. 189-192). La lettera è opportunamente esami-
nata da F. T
ESSITORE
,
Storia della filosofia e storia della cultura in Gentile: il ‘Capponi’
e la ‘Cultura toscana’ del sec. XIX
, in
Enciclopedia ’76-’77. Il pensiero di Giovanni Gen-
tile
, Roma, 1977, pp. 849-860; poi nel volume (da cui cito)
Nuovi contributi alla storia
e alla teoria dello storicismo
, Roma, 2002, pp. 247-272, in partic. p. 261.
Il «sentimento ‘drammatico’ dell’esistenza» di Garin è stato opportunamente mes-
so in luce proprio in relazione all’accusa di candido ottimismo da lui mossa allo «sto-
ricismo gentiliano» (in una pagina apparsa su «Rinascimento») in un momento in cui –
con un giudizio poi risolutamente rivisto – un «intimo profondo ottimismo» era da lui
rinvenuto (e valutato, si badi, come un profondo «limite») nella Rinascita (cfr. C
ESA
,
op. cit.
, pp. 28-29).
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