RECENSIONI
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to di Cristofolini è quello di averlo sottolineato. Effettivamente in
Sn30
Vico
riconosce che «con
errore
, nel quale noi pur
siam caduti
, si è creduto finora
d’aver esso [Dante]
raccolto da tutti i popoli dell’Italia
i
favellari
per la sua
Commedia
», mentre in realtà, «
quando Dante gli usò
, dovevan’esser anco
cele-
brati in Firenze
; perché pur
dovette Dante usare una lingua intesa da tutto il
Comune d’Italia
» (p. 42). Volendo riferirsi alle posizioni in lotta nella questio-
ne della lingua, Vico passerebbe da una tesi eclettica alla Trissino a una tesi
fiorentina prossima a quella sostenuta, sempre nel Cinquecento, da Machia-
velli, nel caso che sia davvero suo il
Discorso ovvero dialogo in cui si esamina se
la lingua in cui scrissero Dante, il Boccaccio e il Petrarca si debba chiamare ita-
liana o fiorentina
, favorevole a quest’ultima soluzione. Ma Cristofolini va oltre
e denuncia una svolta ancora più profonda che avrebbe indotto Vico a scin-
dere la sorte di Omero da quella di Dante.
Sempre nell’edizione della
Scienza nuova
del ’30 Dante, scrive Cristofolini,
«si radica come grande fiorentino a Firenze, Omero vola come figura mitica e
pervasiva» (p. 17). Dante insomma non viene più a essere accomunato a Omero
nel momento in cui dell’autore dell’
Iliade
e dell’
Odissea
si scopre la vera natura,
di tanta rilevanza nell’economia del pensiero vichiano da dovergli essere dedica-
ta
ex novo
un intero libro. Mentre incontestabilmente Dante è un unico indivi-
duo, Omero risulta essere la voce collettiva di un intero popolo e quindi non è
mai esistito come singolo. Cristofolini lo considera non solo l’espressione poe-
tica della storia della nazione greca, ma addirittura lo storico dell’intera «genti-
lità», ovvero l’«espressione di tutta la sapienza volgare di tutti i popoli primiti-
vi». Credo che responsabile di questa svolta sia l’introduzione nell’antropologia
vichiana del concetto di universale fantastico, di cui anche Omero è un esem-
pio, al pari di Giove o di Ercole, ossia di tutti gli dèi ed eroi delle prime due età.
Non per nulla l’universale fantastico è detto «la
chiave maestra di questa Scien-
za
» (
Sn44
, p. 29), una definizione che giunge soltanto nella fase più matura della
speculazione vichiana, quando ormai l’Autore può volgersi indietro e rendersi
bene conto dello straordinario valore euristico di questo canone ermeneutico.
In quanto universale fantastico il nome di Omero, che secondo una pur
fantasiosa etimologia vichiana vorrebbe dire in greco «connettere insieme
contemporaneamente» (
Sn44
, p. 399), avrebbe finito per attrarre a sé, per
identificazione metaforica ovvero per interconnessioni fondate sulla metafo-
rizzazione, i tratti peculiari di «diverse spezie» o di altri «diversi individui»,
sicché alla fine, pur senza smarrire il suo valore storico, sarebbe assurto a «ri-
tratto ideale». È evidente che Dante non può certo possedere le caratteristi-
che degli universali fantastici, essendo realmente esistito come individuo ben
precisato e non potendo risultare la sintesi dell’intero popolo fiorentino o
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