RECENSIONI
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italiano. Eppure, forse per una sorta di indolenza delle formule, anche dopo il
1730 persistono in Vico degli accostamenti o delle analogie tra Omero e Dan-
te. Per esempio Dante è detto ancora nelle edd. 1730 e 1744 «il
Toscano Ome-
ro
» (pp. 34 e 35), una definizione abbastanza corrente ed estesa a quei tempi,
dove a titolo indicativo, sempre nelle lezioni presso l’Accademia di Medina-
celi, Niccolò Sersale nel corso di una tornata del 1699 si riferisce a Torquato
Tasso come al «nostro italiano Omero» (
Lettura sopra le cinque ottave della
«Gierusalemme liberata
, p. 186
r
, in
Lezioni dell’Accademia di
[…]
Medinaceli
,
cit., t. IV, 2003, p. 35). Non solo, ma nelle stesse versioni più tarde della
Scienza nuova
la
Commedia
dantesca, per essere opera «
dramatica
, o sia
rap-
presentativa
», fa sì che Dante somigli «in questo l’
Omero dell’Iliade
» (pp. 68 e
69). E che i poemi omerici siano in effetti radicati nella Grecia non meno che
la
Commedia
a Firenze e all’Italia è ribadito ancora nel ’44 qualificando
Iliade
e
Odissea
come «due
grandi Tesori de’ costumi dell’Antichissima Grecia
», alla
pari delle leggi delle XII Tavole per Roma (p. 111).
Ad ogni modo, sempre ad anni intorno al ’30 risale un altro breve scritto vi-
chiano su Dante che prende una direzione diversa dall’universale fantastico di
Omero e che Cristofolini ha avuto il merito di avere ripubblicato dopo più di
mezzo secolo dall’ultima volta, e di molto emendato rispetto alla versione che
nel 1953 ne aveva dato da ultimo Fausto Nicolini nel volume dei Classici Ric-
ciardi. È il cosiddetto
Giudizio sopra Dante
, sollecitato dall’uscita di un nuovo
commento non identificato alla
Commedia
. Giustamente per Cristofolini questo
referente «rimane comunque un elemento estrinseco» (p. 135), emarginato da
ciò che Vico afferma più in generale sulla rilevanza, enunciata per punti, della
poesia di Dante, alla quale si attribuisce un valore storico e non soltanto poe-
tico, un’importanza linguistica per essere una ricca raccolta di «bellissimi favel-
lari toscani», e non di tutta Italia come ancora Vico credeva nel 1725, e infine
un valore estetico, perché la
Commedia
dimostra quanto Dante si possa ritenere
«un sublime Poeta». Già questo è di per sé un giudizio che va controcorrente,
perché ancora un altro accademico di Medinaceli, Carmine Nicolò Caracciolo,
considerava i versi di Dante «rozzi», sia pure al tempo stesso «espressivi» (
Della
vita di Cesare Augusto. Lezione prima
, pp. 420
r
-421
v
, in
Lezioni dell’Accademia
di
[…]
Medinaceli
, t. I, p. 405). Ma se questi giudizi prescindono dall’edizione
che ne sono l’occasione contingente, una sua possibile identificazione può
essere comunque utile per stabilire la data di questi pareri.
Negli anni immediatamente successivi al 1725 compaiono in Italia tre edi-
zioni tra le quali potrebbe esserci anche quella presa in esame da Vico. Nel
1726-1727 esce a Padova, a cura del grande classicista Giovanni Antonio
Volpi, un’edizione che però è notabile dal punto di vista filologico, più che
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