RECENSIONI
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esegetico. Dalla rinomata scuola patavina in cui si sarebbe formato Cesarotti
esce una
Commedia
in tre tomi che segue, emendandola, l’edizione della Cru-
sca ed è arricchita di un «doppio rimario, e di tre indici copiosissimi», senza
quelle «annotazioni» ricordate da Vico. Poco dopo, nel ’28, proprio Felice
Mosca, l’editore abituale di Vico, pubblica una
Commedia
in tre tomi che pe-
rò, pur recando anche l’originale a fronte e talune annotazioni finali, è «tra-
sportata in verso latino eroico», a opera di un gesuita napoletano, Carlo
d’Aquino. È allora più plausibile che l’edizione cui fa riferimento Vico sia il
Dante con una breve e sufficiente dichiarazione del senso letterale diversa in più
luoghi da quella degli antichi commentatori
, dedicata a papa Clemente XII e
uscita nel ’32 a Lucca, a cura di Giovanni Battista Placidi e con commento di
Pompeo Venturi apposto allo stesso testo approntato da Volpi. Non per nulla
il nome del chiosatore è taciuto, e Vico appunto lo designa con «N. N.»; per
giunta ne elogia «quel difficil nesso di chiarezza e brevità» (p. 139), in linea
con il titolo dell’edizione e con quanto pubblicizzato nella premessa dell’«Au-
tore a chi legge», che ribadisce l’intento di operare «con brevità e sufficien-
za». Se dunque è davvero questa l’edizione avuta per le mani da Vico (ma non
si spiega perché questi non reagisca a un commento spesso censorio nei con-
fronti della
Commedia
), il suo scritto risalirà al 1732, o a poco tempo dopo.
Ma, lasciate le congetture filologiche, è bene ritornare al raffronto tra
Omero e Dante, che è ciò che interessa a Cristofolini. Il quale a questo punto
nota in Vico un’altra differenza: mentre la poesia di Omero è «innarrivabile»,
quella di Dante, a segnare un’ulteriore distanza, può essere eccezionalmente
raggiunta, nonostante che i tempi altrove detti «illuminati e colti» siano molto
sfavorevoli alla poesia. Già nel ’25, nella lettera al giovane Gherardo degli An-
gioli, Vico, notando il «melanconico ingegno» dell’allievo, lo aveva stimato «un
giovinetto di natura poetica de’ tempi di Dante» (
Opere
, cit., pp. 319-320).
Dopo avere però scritta la
Scienza nuova
del ’30 Vico pensa a se stesso, e, come
afferma Cristofolini, arriva «sotterraneamente» a rivendicare quelle «affinità
psicologiche e morali» che avvicinano il proprio capolavoro alla
Commedia
dan-
tesca. Anche senza avere necessariamente in mente queste pagine del
Giudizio
sopra Dante
, la critica ottocentesca condividerà la liceità di questo parallelo,
perché per De Sanctis la
Scienza nuova
«è la
Divina Commedia
della scienza, la
vasta sintesi, che riassume il passato e copre l’avvenire». L’avere ritrovato in
Vico stesso questo accostamento è uno dei tanti motivi che rendono l’edizione
curata da Cristofolini degna di essere letta, dal momento che sia l’Omero sia il
Dante di Vico si manifestano sotto inedite prospettive.
A
NDREA
B
ATTISTINI
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