RECENSIONI
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interesse verso una
scientia iuris
valida per la polisemia della natura umana.
Solo la
scientia
può, infatti, imporre temperanza ai desideri e mostrare il valo-
re dell’
honestas
che nella
potestas civilis
comanda ai
rudes
la ragione e il defi-
nitivo abbandono della condizione naturale.
Ha ragione Lomonaco quando afferma che è proprio in queste considera-
zioni che si possono ritrovare molti dei motivi centrali di un certo giusnatura-
lismo, non sfuggiti all’attenzione del moderno curatore dell’edizione lipsiense
del 1737 delle opere giuridiche di Gravina. Come pure ha ragione quando in-
dividua in ciò motivi tanto comuni quanto divergenti con la riflessione di
Hobbes e con il pensiero di Lucrezio. L’uomo, infatti, secondo Gravina deve
cercare di dominare e limitare quei piaceri che nascono dai moti scomposti
del corpo, e che trascendono i limiti assegnati dalla ragione.
Fonte di questo conato verso l’
honeste vivere
– che avvicina Gravina pure al
Vico dell’
Oratio IV
– sono Ulpiano e la tradizione romanistica, secondo cui
l’
honeste vivere
è regola fondamentale, «rispettando la quale l’agire umano ri-
flette l’autentica umanità governata dalla ragione. Dall’
onestà
naturale
il diritto
riceve la spinta a elevare la regola di ragione contro il possibile arbitrio del sin-
golo. Norma dell’utile, l’
onesto
gli attribuisce una
ratio
sociale universalmente
giusta e un contrassegno morale, apparsi al Gravina in un rapporto di reciproca
implicazione. Senza confondere tra morale e diritto, egli intende sottolineare
l’indissolubile legame riconosciuto tra l’aspetto civile e quello etico dell’
ho-
nestas
, necessari alla fondazione del diritto che deve essere
giusto
e, quindi, par-
te del
bonum
, oggetto dell’etica, per poter corrispondere alla ragionevolezza
pratica di una rinnovata umanità, soggetto dell’antica
civitas
» (p. XVII).
Come si può intuire da queste brevi riflessioni il platonismo neoplatonico
di Gravina – via di recesso alla meditazione malebranchiana – assicura orien-
tamento etico al mentalismo di origine cartesiana, e risponde all’esigenza di
individuare un principio regolativo-razionale anche in ambito strettamente
giuridico. Non a caso, infatti, le
Origines
si soffermano respingendole su due
opposte concezioni. La prima di esse, quella che riguarda l’appetizione sensibile
come regola della natura, è subito respinta dal filosofo per l’inaccettabile ri-
duzione della legge morale a pura fisicità, visto che la
ratio
deve essere la guida-
misura dell’agire umano, che ha valore di legge solo se conforme al divino. La
seconda, quella che riguarda la morale definita pure come sola autorità della
religione, è confutata in quanto egli sente che la vera religione eleva l’
onestà
e
consente all’uomo di raggiungere la
virtù
con le
naturali ragioni
.
In definitiva – afferma Lomonaco – il riconoscimento di un principio uni-
versale di senso immanente alla realtà umana presuppone di vincolare la vali-
dità del comando divino ai poteri di una ragione concreta e terrena. Proprio
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