RECENSIONI
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politico-culturali, in piena sintonia con il carattere e l’immagine dell’Impero in
direzione antifeudale e antinobiliare. Testimone di tale fermento è anche il vi-
chiano
De rebus gestis Antonii Caraphaei
del 1716, dove il filosofo napoletano
manifesta pure la propria approvazione nei confronti delle opere di Gravina.
Molte sarebbero ancora le riflessioni da fare, anche perché la materia trat-
tata dal filosofo calabrese si presta effettivamente ad un confronto interessan-
te con l’attuale prassi giuridica. Credo, per questo, che prima di concludere
sia doveroso un ultimo richiamo all’attività giudiziaria come appare concepita
nelle
Origines
, ovvero esercizio che non guarda solo ai fatti singoli nella loro
empirica storicità, visto che per orientarsi essa necessita di principi generali e
formali che governano quei fatti, e che ne attestano gli scopi fondamentali.
Ecco perché condivido, insieme al curatore di quest’opera, che l’autentico di-
scorso giuridico delle
Origines
sia teso a cogliere l’unità delle cause e la ragio-
ne stessa di esistenza dello
ius
, ossia il suo fondamento intrinseco senza il qua-
le non può esistere una legittima attività giuridica. Il diritto, pertanto, è per
Gravina mezzo attraverso cui l’uomo riconosce nella storia l’azione della
lex
divina, diversamente operante nei tempi, eppure costante nel garantirgli la
possibilità di perseguire finalità etico-razionali.
«Le
Origines iuris civilis
», conclude Lomonaco nella sua ottima
Introdu-
zione
a quest’opera graviniana, «non introducono alle
Scienze nuove
e solo per
alcuni aspetti le preparano. Gravina e Vico, ognuno per proprio conto, vo-
gliono ricercare nella storia la materia e la forma del diritto, tutto l’avvertito
valore di quella
mens
che è a fondamento della
scientia iuris
. Ma la forza teo-
retica non concede al giurista calabrese i mezzi diretti e indiretti necessari allo
sviluppo di una
scientia
disposta a riconoscere il divenire di tutta la
humanitas
nella sua interna
natura
, a seguire, cioè, i momenti di una storia vichianamente
intesa come
scienza dell’uomo
. Nel progetto graviniano di riforma metodologica
dello studio del diritto resta aperto il problema della
historia
e della sua legitti-
mazione conoscitiva proprio in un campo (giuridico), dove non sempre efficaci
si erano rivelate le resistenze agli attacchi del
pirronismo storico
nell’Europa
postcartesiana. Rivolto alla ‘sola notizia de’ fatti’, lo studio della storia desta un
interesse diretto più ad accertare l’autenticità della ‘cognizione degli affari ed
interessi civili’ che a costruire una
scientia
dei comportamenti dei popoli e delle
nazioni. La conoscenza del diritto non raggiunge la storicità della
scientia iuris
,
risultando il suo intervento condizionato dall’esigenza di individuare una ‘ra-
gione universale della tranquillità pubblica’ alla luce della
natura
dei popoli e in
relazione ‘ad suos cuiusque regionis, et temporis mores’» (pp. LXI-LXII).
A
LESSIA
S
COGNAMIGLIO
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