RECENSIONI
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quelle stesse loro diverse, e contrarie vie, essi dall’
utilità medesima
sien tratti
da
uomini
a vivere con
giustizia
, e conservarsi in
società
, e sì a celebrare la loro
natura socievole
; la quale nell’Opera si dimostrerà essere la
vera civil natura
dell’uomo
; e sì
esservi diritto in natura
: la qual condotta della Provvedenza Di-
vina è una delle cose, che principalmente s’occupa questa Scienza di ragiona-
re: ond’
ella
per tal’aspetto vien’ad essere una
Teologia Civile Ragionata della
Provvedenza Divina
» (
Principj di
Scienza Nuova di Giambattista Vico d’intorno
alla comune natura delle Nazioni
, Napoli, Muzio, 1744, p. 2).
Allontanandoci dalle posizioni vichiane, possiamo ora ricordare, a pro-
posito dell’uscita dallo stato ferino e della fondazione della civiltà, che in
Gravina i poeti furono fondatori di civiltà (RP, p. 210); si servirono della
poesia per comunicare alle «menti volgari […] le cognizioni universali», di-
sponendo queste ultime «in sembianza proporzionata alle facoltà dell’immagi-
nazione ed in figura atta a capire adeguatamente in quei vasi» (
ibid.
). Tale è il
meccanismo delle favole, strumento indispensabile per i primi poeti teologi,
come Anfione ed Orfeo, che con esse risvegliarono «nelle rozze genti i lumi
ascosi della ragione, e facendo preda delle fantasie coll’immagini poetiche
l’invilupparono nel finto» (ivi, p. 209).
Dunque in Gravina il volgo è condotto dallo stato ferino alla vita civile
attraverso lo strumento delle leggi e delle favole dei poeti teologi. Come l’A.
sottolinea, nelle
Origines
le leggi «hanno la capacità di contenere la natura
ferina innata dell’animo umano; se gli individui, di indole retta, si sottraggono
ad esse seguendo solo il loro arbitrio, finiranno per diventare schiavi delle
loro passioni, e si trasformeranno in ‘lupi’ che attentano alla vita e ai beni al-
trui» (pp. 90-91). Per tale questione e per altre affrontate dall’A. nelle pagine
sulle quali ci stiamo ora soffermando, Gravina sembra tener presente il di-
scorso di Marco Lombardo nella
Divina commedia
. Marco spiega (
Purg.
XVI,
93) che la norma direttiva dell’anima è la legge eterna, scolpita nella coscienza
di ciascuno, ma le passioni possono offuscarla: ecco allora la necessità della
legge e di una autorità che abbia il compito di attuare la giustizia, tutti argo-
menti che, come abbiamo già visto, l’A. indica come presenti in Gravina.
Dante, come in seguito Gravina (sottolinea l’A., pp. 86-87, 90-93), concepisce
le leggi e l’autorità di un monarca come necessarie per guidare verso la giu-
stizia gli uomini che altrimenti sarebbero sviati dalle passioni (
Purg.
XVI, 94-
96). Allo stesso modo di Gravina (p. 118), già Dante (
Purg.
XVI, 97) deplora-
va la mancanza, ai suoi tempi, di una autorità imperiale; Dante mette in bocca
a Marco Lombardo le teorie che ai suoi tempi erano proprie dei ghibellini, ed
è forse questo che induce Gravina, che tra l’altro condivide questo discorso di
Marco Lombardo, a definire (RP, p. 298) Dante ghibellino (oltre che, come