RECENSIONI
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sull’invidia e la cupidigia tra gli uomini (
Purg
. XV, 49-55). Inoltre, il concetto
(
Originum
, II, p. 10, cit. dall’A. a p. 95, n. 46) degli uomini che si procurano il
loro stesso male, in politica, inseguendo la loro cupidigia, ricorda il discorso
sulla cupidigia dei politici italiani che rifiutano Arrigo VII. Essi per conservare
dei beni terreni rifiutano il bene più importante: la felicità terrena che si ottiene
sotto la guida dell’imperatore (
Par
. XXX, 139-141); ed è proprio dalla mancan-
za di un’autorità imperiale che guidi «l’umana famiglia» (ivi, XXVII, 141) che,
secondo Dante, si è generata la corruzione dei suoi tempi (ivi, 140-142).
Anche in merito alla questione, su cui si sofferma l’A. a p. 118, dei pericoli
della disgregazione politica all’interno di uno Stato, Gravina deve molto a
Dante. Nella RP (pp. 295-299), Gravina associa Dante a Omero, oltre che per
la questione della lingua usata nei rispettivi poemi e per quella del titolo del
poema dantesco (sulle quali mi sono soffermata in un mio libro), anche per il
discorso sulla disgregazione politica delle loro nazioni. Nel capitolo dedicato
alla «
politica di Dante
» (ivi, p. 295), Gravina sostiene che Omero scrisse l’
Ilia-
de
per mostrare, attraverso l’allegoria della disunione e in seguito riappacifica-
zione tra Achille e Agamennone, «che la libertà disseminata e sparsa potea es-
ser volta in servitù da qualche forza esterna maggiore, quando le città greche,
le quali, ciascheduna da sé, inferiori erano alla forza straniera, non acquistas-
sero potenza a quella uguale o superiore dalla loro unione» (ivi, pp. 295-296).
Quando Sparta e Atene ruppero l’antica alleanza che faceva forte la Grecia,
quest’ultima fu soggiogata dalla Macedonia che approfittò delle «discordie»
(ivi, p. 296) fra le città-stato greche; «simil morbo nell’età di Dante serpeggia-
va per entro le viscere dell’antica e legittima signora delle genti, ed era l’Italia
dalle proprie discordie e dalle forze e fazioni straniere sì miseramente lacerata
e divelta, che quella la quale con se medesima consentendo ripigliar poteva il
comando dei perduti popoli, fu poi […] ridotta a servire alle soggiogate e da
lei trionfate nazioni» (
ibid.
). È lo stesso discorso affrontato nel brano citato
dalla San Mauro a p. 118, dove è espressa la necessità della restaurazione del-
l’Impero romano: in Gravina il fine politico da raggiungere, tramite la ri-
costruzione dell’Impero, è la libertà (mentre per Dante, come s’è visto, è la
pace), ma è anche vero che «lo sfrenato ed indiscreto disiderio di libertà»
(RP, p. 296) aveva provocato, ai tempi di Dante (cosa che già era accaduta in
Grecia), la debolezza degli stati italiani e di conseguenza proprio la perdita di
quella libertà tanto rincorsa e la dipendenza da quelle nazioni che un tempo
erano state soggiogate dall’Impero romano. Gravina così definisce il partito
ghibellino dei tempi di Dante, mostrando anche di condividerne le idee e gli
scopi: il partito ghibellino «la libertà della patria al nodo comune dell’imperio
intessea» (ivi, p. 297): dunque in Gravina, come nel passo opportunamente
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