ENRICONUZZO
22
velli e l’Alfieri, prima del ricongiungimento del Risorgimento al miglio-
re Rinascimento (quello di una concezione umana dell’uomo), Vico sa-
rebbe stato di questo «il massimo erede» e «insieme l’oscuro profeta
d’ogni più altro concetto filosofico dei tempi nostri»
18
. Perciò, di ne-
cessità isolato in un secolo di freddo razionalismo, egli avrebbe por-
tato ad una prima consapevolezza e chiarificazione concettuale, con-
tinuata e maturata poi con Hegel e Marx (e ‘compiuta’ nell’attuali-
smo gentiliano…), il perenne svolgimento processuale dello spirito;
anche a patto, nella sua solitudine speculativa, di un’assoluta impoli-
ticità del suo pensiero, come analogamente avveniva per il Vico di
Croce: quindi a patto di un’incapacità della sua ‘filosofia’ di farsi nel
suo tempo vitale «cultura».
Per questo suo incoato idealismo tuttavia Vico era condannato ad
un’interpretazione ‘dualistica’, scisso tra le esigenze e gli indirizzi della
sua speculazione e le resistenze e incapacità che venivano innanzitutto
dalla sua condizione di sincero credente. Così Vico non ebbe fino in
fondo la capacità di procedere lungo la filosofia immanentistica che
pure incarnava, precorrendo nella
Scienza nuova
«a dirittura Hegel»,
dal momento che in essa «lo spirito appare creatore» del mondo della
storia. Infatti egli non era «riuscito» a svolgere tale concetto, «il suo
maggior difetto» consistendo «nel non essersi del tutto liberato dalla
trascendenza e dal dualismo»
19
. L’«impenetrabile […] natura di Dio»,
il fatto che «Dio dunque non è l’uomo» [che Vico non è Hegel o Gen-
tile…], «è la radice della contraddizione e della oscurità del Vico, il fi-
losofo più religioso che l’Italia abbia avuto»
20
.
Una tale interpretazione ‘dualistica’ compariva affinemente, sia pu-
re con maggiore equilibrio, nelle pagine di Benedetto Croce su Vico,
in fedeltà al «generale canone ermeneutico di andare separando per
via d’analisi la schietta filosofia che è in lui dall’empiria e dalla storia
tamento nel mondo. E letterati di questo genere saranno, anche la maggior parte, i fi-
losofi, nei quali molto raramente la filosofia sarà fede e vita piena dello spirito, più che
dotta suppellettile della mente e virtuosità dialettica e formale. Il letterato italiano e il
letterato, in generale, del Rinascimento nato dall’Umanesimo, si potrebbe definire:
uno spirito che è mera forma senza contenuto» (pp. 158-159).
18
I
D
.,
Il carattere storico della filosofia italiana
, cit., p. 228
.
19
I
D
.,
La seconda e la terza fase della filosofia vichiana
, in
Studi vichiani
, Seconda
edizione riveduta e accresciuta, Firenze, 1927, pp. 137, 140.
20
I
D
.,
Il carattere storico della filosofia italiana
, cit., pp. 229-230.
1...,12,13,14,15,16,17,18,19,20,21 23,24,25,26,27,28,29,30,31,32,...280