RECENSIONI
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discorsivo e la memoria, in quanto collocati in una dimensione temporale, ap-
partengono all’intelletto comune, e vanno perduti nella morte. Va perduto
cioè quello che ci rende individui determinati; solo l’intelletto attivo soprav-
vive, perché legato all’eterno e non al tempo.
Le fatiche di Eva. Il senso interno tra
aisthesis
e
dianoia
secondo Giovanni
Scoto Eriugena
, di Giulio D’Onofrio (pp. 21-53), conduce attraverso la lettura
di Giovanni Scoto dell’anima: concepita in modo unitario, ma organizzata in
diverse facoltà ordinate gerarchicamente, in cui l’evidenza originaria e onni-
comprensiva del vero occupa il livello sommo, subito superiore alla ragione
dialettica, ancora prigioniera della molteplicità discorsiva. Il disegno scotiano
della struttura della mente umana ricorre, in più di un’occasione, alle allegorie
del maschile, Adamo, e del femminile, Eva, ampiamente utilizzate, prima di
lui, dalla patristica di matrice neoplatonica, laddove l’elemento femminile
rappresenta la parte sensibile e inferiore dell’anima, quello maschile la parte
intellettiva e superiore. Ma è individuabile, nella progressiva maturazione del-
l’antropologia di Scoto Eriugena, l’esigenza, oltre che di conciliazione delle
diverse fonti, di ‘complicare’, per così dire, la lettura della parte femminile
dell’anima. Ne risulta una più complessa articolazione delle facoltà conosciti-
ve, ed una funzione accentuata del senso interno come mediatore tra uomo
esteriore e uomo interiore. Si profila anche, con chiarezza, il cammino da
compiere per sanare la «deviazione conoscitiva» conseguente alla caduta,
cammino comunque affidato alla correzione e riconversione della sfera sensi-
bile umana, e rappresentato allegoricamente proprio dalle «fatiche di Eva».
I saggi di Judith Wilcox (
Qus
å
ibn L
q
å
’s
On difference between the Spirit
and the Soul
in Medieval Considerations of the Internal senses
, pp. 55-75), Gra-
ziella Federici Vescovini (
Alhazen,
lo spazio percettivo del
De aspectibus
e l’im-
maginativa
, pp. 79-101) e Michael McVaugh (
Arnau de Villanova and the pa-
thology of cognition
, pp. 119-138) condividono la concentrazione sulle modalità
della ricezione del pensiero arabo in Europa, consentita dalle traduzioni latine.
Judith Wilcox esamina il
De differentia spiritus et animae
di Qus
å
ibn
L
q
å
’s (composto nella seconda metà del IX secolo, la sua conoscenza fu mol-
to diffusa dalla metà del XII secolo grazie, appunto, alla traduzione latina). Il
testo è un punto di raccordo e di incrocio di diverse istanze del pensiero ara-
bo e dei ripensamenti di questo sulle fonti greche, e guadagna, di tali istanze e
ripensamenti, una sintesi originale, soprattutto evidente nella proposta del-
l’accezione del concetto di spirito e nella lettura dei sensi interni. Lo spirito
infatti, oltre ad essere letto come principio di vita del corpo, assume una im-
portante funzione mediatrice tra corpo e anima. Proposta, questa, ampiamen-
te accolta da filosofi e teologi latini del XII secolo.
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