RECENSIONI
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questioni relative al senso agente, tra la fine del XIII secolo e l’inizio del 1300,
mostra chiaramente, per la Sorge, i segni della crisi di un modello gnoseolo-
gico classico, «che presentava la sensazione, a partire dalla definizione aristo-
telica del
De anima
, come qualcosa che patisce o che è mosso, oltre che, natu-
ralmente, intendendola come un’alterazione» (p. 214). Crisi testimoniata anche,
e in modo lampante, dal Commento all’opera aristotelica di Taddeo da Parma.
Vi si riscontra infatti un netto allontanamento dalla gerarchia delle potenze del-
l’anima stabilita da Aristotele, indotto dall’esigenza di accentuare il ruolo della
sensazione nel processo conoscitivo, attribuendole, appunto, una forma di at-
tività. Di qui una complessa caratterizzazione del
sensus agens
, lontana dalle for-
mulazioni aristoteliche e poi averroiste, e invece prossima, per l’ammissione di
una compresenza, nel senso, di attività e passività, a Duns Scoto. Una caratteriz-
zazione che indica già, limpidamente, percorsi nuovi d’indagine.
Il contributo di Biard porta l’attenzione sulla lettura di Buridan del senso
agente, alla cui difesa e affermazione si lega strettamente l’esigenza di un ri-
pensamento delle relazioni tra le diverse facoltà dell’anima. In Buridan il rifiu-
to di una netta distinzione tra estimativa e cogitativa, senso comune e fantasia,
si accompagna naturalmente all’attribuzione di un’attività giudicativa anche al
livello sensoriale. E l’affermazione insistita dell’identità tra senso attivo e sen-
so passivo offre valido sostegno ad una visione unitaria dell’anima, lontana
dalla pluralità di matrice aristotelica, che fa giungere la sua eco, per Biard,
fino al pensiero cartesiano, laddove si sancisce che è una sola l’anima che pen-
sa, sente, vuole, immagina.
Anche nell’opera di Biagio Pelacani, presa in esame da Orsola Rignani, la
proposta del
sensus agens
si lega all’esigenza di leggere in un
continuum
le di-
verse facoltà dell’anima, mettendo da parte ogni riferimento a forme sostan-
ziali. «L’anima, nella prospettiva naturalista e materialista di Pelacani, assume
la caratteristica di un unico principio vivente, un ‘subiectum materiale’ che si
differenzia per i suoi gradi perfezionali, o ‘operationes’, che vanno dal sen-
sibile all’intellettivo; quest’unico principio è sensibile e intellettivo, attivo e
passivo ‘per operationes’ appunto» (p. 252). In tale contesto teorico si colloca
agevolmente la teoria della visione ottica come giudizio sensibile, che offre
una conoscenza matematico-quantitativa del mondo naturale; teoria, questa,
costruita sulla scorta delle elaborazioni di Alhazen.
Con il saggio, subito seguente, di Martin Thurner,
Il senso come autorap-
presentazione
della mente: gli
aenigmata
di Cusano
(pp. 267-289) ci spostiamo
in età moderna, giacché ci confrontiamo con Cusano e con le sue riflessioni
che vertono non tanto sui principi della realtà, ma sui limiti della conoscenza
umana, e quindi sulla conoscenza che la mente ha di se stessa. Ma, avverte
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