RECENSIONI
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corpo diventa, così, più che tramite di conoscenza degli altri corpi, come in
Descartes, potente tramite di socialità.
Alla rinnovata proposta lockeana della questione dell’identità sono dedi-
cati i saggi di Antonio Allegra (
«In continuall flux and motion». Mente, mate-
ria e identità nell’empirismo classico
, pp. 437-455) e Giovanni Mari (
Sensi in-
terni, identità personale e «stessa coscienza» in John Locke
, pp. 505-519). La
teoria dell’identità elaborata da Locke rompe con una lunga tradizione, nutri-
ta soprattutto in ambito teologico, come ci ricorda Allegra, perché abbandona
definitivamente il riferimento alla sostanza. La problematicità della questione
risulta, naturalmente, da questo abbandono, aumentata, giacché si cercava di
rispondere a cruciali questioni teologiche che implicavano il problema del-
l’identità – la resurrezione, la transustanziazione, le persone nella Trinità – in
modo nuovo. Già Hobbes, con la sua interpretazione della sostanza in termini
corporei, dispiegava il nuovo ordine di problemi. E così, per altri versi,
Margareth Cavendish, Robert Boyle e Ralph Cudworth. Costoro mostrano,
ciascuno a suo modo, quanto l’elemento materiale, corporeo, sia del tutto ini-
doneo a fondare l’identità; offrono quindi anche un retroterra alla scelta lo-
ckeana di affidarsi, per la fondazione dell’identità, ad un principio comunque
immateriale quale la coscienza. Anche le dispute sul tema immediatamente
successive alla riflessione lockeana illuminano difficoltà e aporie, e sono testi-
moni della persistente esigenza di «spiegare il modo in cui sé temporalmente
distinti restano tuttavia abbastanza connessi da mostrare fenomeni di respon-
sabilità e soprattutto di
self interest
» (p. 455). Esigenza che non può essere
soddisfatta, conclude Allegra, attingendo esclusivamente all’esperienza della
materia, ed apre invece ad una prospettiva di tipo trascendentale.
Mari ricorda opportunamente quanto, a partire dagli ultimi decenni del
secolo scorso, il dibattito sulla questione dell’identità personale abbia indicato
nella teoria lockeana – espressa segnatamente nel capitolo XXVII del
Saggio
sull’intelletto umano
– un luogo privilegiato di discussione. Motivo di tale ‘at-
tualità’, per l’A., è la dirompente definizione del senso unitario della
persona
proprio attraverso la diversità e la discontinuità. Ma anche qui si giunge ad
evidenziare più di una contraddizione. Lo spostamento compiuto da Locke,
infatti, del fondamento della continuità dalla sostanza alla coscienza, di una
coscienza che rimane sempre la stessa pur nelle «
differenti
consapevolezze di
differenti
percezioni» (p. 515), finisce per approdare ad esiti comunque meta-
fisici: «Purtroppo questa esistenza perennemente medesima, apparentemente
indispensabile, viene introdotta in un tipo di discorso che non la sopporta e
che può solo postularla dogmaticamente» (p. 516). È questa però, per Mari,
una contraddizione feconda, perché mostra la necessità di uscire, per recupe-
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