RECENSIONI
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rare e costruire l’identità, dal «circolo chiuso della coscienza» e dei sensi in-
terni (p. 518).
Carlo Vinti (Idea corporis.
Spinoza e il
mind-body problem, pp. 457-476)
si fa accompagnare, nel ripercorrere i nodi del problema della relazione men-
te-corpo in Spinoza, da una serie di studi recenti e non. Consente particolar-
mente con le tesi espresse da Cristina Santinelli nel suo
Mente e corpo. Studi
su Cartesio e Spinosa
(Urbino, Quattroventi, 2000), soprattutto relativamente
all’interpretazione della nozione di mente come
idea corporis
.
Si stacca nettamente da quest’ordine di riflessioni il saggio di Piero Di Vona
che, come in qualche modo annuncia già il titolo,
Polemiche spinoziane
(pp.
477-488), intende «trattare gli errori che comunemente si commettono negli
studi sulla filosofia di Spinoza» (p. 477). Lo fa percorrendo diversi luoghi del-
l’
Ethica
, spesso male o parzialmente interpretati, a giudizio dell’A., luoghi
che vertono tutti su questioni ontologiche: l’anteriorità di natura della sostan-
za, essenza ed esistenza di Dio, Dio come causa immanente; chiude, breve-
mente, con la «concezione spinoziana dell’uomo».
È dedicato a Vico il contributo di Antonio Pieretti,
Vico: il senso, «luogo»
della filosofia
(pp. 489-503), che sottolinea il ruolo della sensibilità nella gnoseo-
logia vichiana, accanto a quello fantasia e all’ingegno, trascorrendo velocemente
dal
De antiquissima Italorum sapientia
alla
Scienza nuova
, e senza individuare,
nel passaggio dall’una all’altra, rimarchevoli cambiamenti di prospettiva.
Il saggio conclusivo del volume, di Fabrizio Desideri (
Senso interno e sen-
so esterno nella critica kantiana dell’idealismo cartesiano
, pp. 521-538) mostra
la vitalità persistente di questioni cruciali che hanno agitato il dibattito filoso-
fico moderno. Si ferma sui motivi, quasi un’urgenza speculativa, e sui conte-
nuti della
Confutazione dell’idealismo
inserita da Kant nella II edizione della
Critica della ragion pura
. È, fondamentalmente, una confutazione della asseri-
ta e completa ‘internità’ dell’«io sono» cartesiano, dell’esclusività della sua di-
mensione temporale. L’esperienza interna non si dà, per Kant, che insieme al-
l’esperienza esterna nella sua immediatezza. Nel momento in cui si nega la
possibilità di un’esperienza puramente interna, ma la si vincola all’esperienza
esterna, spazialmente collocata, il carattere dell’autoaffezione non può che ri-
sultarne modificato, così come gli equilibri e la disposizione dei sensi interni:
viene ridimensionato, ad esempio, il ruolo dell’immaginazione nella percezio-
ne di sé. Si accolgono dunque non solo la passività insita nella sensazione, ma
anche l’esistenza del suo oggetto in uno spazio esterno: «La posta che la Con-
futazione deve conquistare riguarda, allora […] l’esternità immanente all’in-
ternità della rappresentazione e del rappresentarsi, e con essa, la possibilità di
non dissociare l’empirico dal trascendentale» (pp. 530-531).