AVVISATORE BIBLIOGRAFICO
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dello stato di natura dei giusnaturalisti
(Grozio, Hobbes, Pufendorf, Selden), la
riflessione di Vico intorno alla
natura delle
nazioni
si incammina verso la faticosa ri-
cerca dei
princìpi dell’umanità
che verran-
no ripensati nelle successive redazioni del
suo capolavoro dove, come giustamente
mette in risalto l’A., un’originale teoria del-
l’ingegno e della fantasia consente a Vico
di
intendere
le modalità del pensiero mito-
poietico dei primi ‘autori’ dell’umanità.
[R. M.]
22. M
AZZARELLA
Arturo,
La potenza
del falso. Illusione, favola e sogno nella
modernità letteraria
, Roma, Donzelli,
2004, pp. 246.
Uno studio interessante e piacevole
questo di Arturo Mazzarella, denso di in-
terrogativi di fondo volti ad indagare ‘co-
sa’ inventano lo scrittore e il poeta ‘assolu-
ti’, e quali sono i processi che regolano la
creazione letteraria in genere.
Nessuna figura, nessuna immagine let-
teraria e poetica potranno mai corrispon-
dere e aderire in maniera assoluta alla real-
tà, chiarisce da subito l’A. nell’
Introdu-
zione
, specificando pure che «la rete di
figure e di immagini a cui la scrittura affi-
da il compito di testimoniare material-
mente la propria ‘creatività’ costituisce un
filtro opaco che interdice al processo in-
ventivo la sua piena esplicazione» (p. 7).
Illusioni, favole e sogni sono indagati e
scandagliati, con una prosa di grande sug-
gestione, attraverso le pagine di Novalis,
Leopardi e Valéry, per poi sfiorare il pen-
siero di Vico, Herder, Poe, Hoffmann,
Baudelaire e Proust. In particolare, per il
filosofo napoletano, ricorda Mazzarella,
favola e favella sono congiunte in un rap-
porto di piena identificazione: «Origina-
riamente la favola, secondo Vico, si con-
fonde con il linguaggio stesso. È nella fa-
vola che il linguaggio affonda le proprie
radici; iniziando a dispiegarsi attraverso
metafore e figure: le quali, in quanto assol-
vono una funzione spiccatamente comuni-
cativa, acquistano un’irrevocabile realtà»
(p. 91). Per Vico, prosegue l’A., la logica
che presiede alla formazione del linguag-
gio non conosce ancora alcuna distinzione
tra vero e falso. Il ‘primo parlar’ fonda, in-
fatti, le proprie garanzie di veridicità sulle
evidenti imperfezioni che lo caratterizza-
no: su un’articolazione che in principio si
presenta addirittura come pre-verbale,
‘muta’. Favola e mito, inoltre, vanno intesi
quale ‘
vera narratio
’, ossia ‘parlar vero’.
«Una definizione che basta, da sola» –
chiarisce Mazzarella – «a meritare l’aura
di novità nella quale Vico avvolge la sua
‘scienza’ […]; riportare alla luce le origini
‘favolose’ del linguaggio è un’operazione
che non ha riscontri nella cultura europea
del suo tempo e, soprattutto, segna una
radicale rottura con una duplice tradizio-
ne filologica e filosofica» (p. 92).
[A. Scogn.]
23.
M
ELCHIORI
Giorgio,
Joyce e
l’eternità. Da Dante a Vico
, in «Belfagor»
LX (2005) 360, pp. 617-633.
In questo testo, presentato nel corso
di una «Lezione pubblica Natalino Sape-
gno» nel maggio 2005, l’A., dopo un rapi-
do
excursus
sulle rappresentazioni del-
l’eternità nella letteratura occidentale, dal-
la circolarità e dal gorgo danteschi alla pi-
ramide serpentina di Michelangelo fino al
doppio cono a spirale disposto a clessidra
di Yates, e dopo aver presentato «una li-
nea diretta di trasmissione nelle letture in
chiave moderna» dell’Odissea «dal Sei-
cento in poi attraverso i testi di Fénelon,
Fielding e finalmente Joyce» (p. 625), si