GLI STUDI VICHIANI DI EUGENIO GARIN
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In questo ripudio, se si vuole, si può scorgere anche il recupero, nella
forma di una radicalizzazione, di un’eredità di un nodo centrale della spe-
culazione neoidealistica, segnatamente gentiliana, precisamente dell’ansio-
sa affermazione del compito della filosofia di farsi vitale prassi, quindi cul-
tura. E appare assai attendibile che, in profondità, abbia operato in Garin
una tale conseguente radicalizzazione, contribuendo a rovesciare quell’im-
pianto di pensiero. Resta il fatto che la filosofia veniva di fatto destituita
da Garin del suo assoluto potere di rottura critica e totalizzazione del rea-
le, e del tutto abbassata dal rango teologicamente assegnatole dell’essere il
luogo privilegiato dell’‘indiarsi’ del soggetto umano. Ciò conduceva ad un
capovolgimento, presto assai consapevole, delle disposizioni prospettiche,
della ‘sintassi logica’ dello sguardo storiografico, e quindi della fisionomia
complessiva dei generali quadri storici elaborati. Questi non solo divengo-
no evidentemente privi delle cime speculative di maestose catene genealo-
giche, ma sono tendenzialmente quasi deprivati di ‘alti’ e di ‘bassi’, di
marcate preminenze volumetriche di protagonisti degli scenari raffigurati,
restii ad ergersi vistosamente dalla ricchezza delle plurali forme di vita
brulicanti nei ‘fondali’ della storia culturale.
Qui mi pare debba trovarsi in primo luogo la ragione intrinseca della
difficoltà di rinvenire nella storiografia di Garin ‘grandi autori’, ‘autori
preminenti’, perfino una qualche difficoltà a scorgere a prima vista au-
tori prediletti. Questi pure sono lasciati emergere con qualche chiarezza,
a chi sappia intravederli, ma sono anche celati, e quasi protetti, dalla na-
tura riservata, fino ad essere schiva, del loro studioso, magari da lui la-
sciati ad un regime meno esposto, se non più ‘segreto’, di frequentazio-
ni. Garin in fondo era indotto ad amare in cuor suo gli inquieti, i malin-
conici, gli schivi: Leon Battista Alberti personaggio emblematico del suo
‘ultimo’ umanesimo, non più ‘ottimistico’, ma il più inquieto, tensionale,
umanisticamente ‘utopico’; il malinconico moralista Jean Jacques Rous-
seau; per qualche aspetto in ciò forse anche il povero risentito Vico,
come si avrà modo di dire ancora più avanti.
In un’imponente produzione storiografica in effetti Garin non ha
lasciato molte monografie dedicate a singole figure. Né una qualche
maggiore trattazione ‘sistematica’ di qualche autore ne ha fatto pro-
priamente un suo ‘autore’. Così non è in fondo avvenuto neppure per
Pico della Mirandola, oggetto del suo primo libro, ma poi più volte ri-
tornante, e pure ritornante (anche nel ‘superamento’ dell’iniziale vedu-
ta critica dell’umanesimo che esprimeva) nel nucleo di un interesse
consentaneo per una tematica che risulta ancora a noi «particolarmen-
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