ENRICONUZZO
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Era poi altamente significativo il giudizio gariniano di quegli anni
sull’illuminismo, da iscrivere anch’esso in una stagione, quella del fini-
re degli anni ’30, di un non irrilevante ‘recupero’ dell’illuminismo, se
pure non di ‘ritorno’
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. Significativo, quel giudizio, per intendere una
propensione lontana a rintracciare, in primo luogo nel nome della ‘li-
bertà’, taluni nessi di ‘continuità’ tra caratteri, momenti (esigenze, pro-
blemi, temi, atteggiamenti), dell’umanesimo e del secolo dell’illumini-
smo: nessi che non sarebbero caduti di necessità sotto il taglio delle
successive accuse, sopra richiamate, al costume di istituire un’indiffe-
renziata continuità di astratte idee filosofiche (tanto che Garin, come si
dirà ancora, avrebbe poi parlato di un certo ‘ritorno’ dell’Umanesimo
nel secolo dell’Illuminismo, e di una svolta neoumanistica di questo).
Si veda quanto si affermava nella «Conclusione» del libro sui moralisti
inglesi. Il secolo XVIII fu «antistorico per amore della libertà: in un
certo senso per amore eccessivo della storia»: con l’assunzione del mo-
tivo, consuetamente accusatorio, dell’antistoricità, temperato, se non
riconvertito, da un’interpretazione in chiave di positivo ‘antitradizio-
nalismo’, che implicava un suo consistente ripensamento
40
. Garin affer-
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E si può osservare che nella bibliografia compaiono, oltre che naturalmente i
testi di Leslie Stephen, quelli di Cassirer e De Ruggiero, non venendo richiamati – co-
me pur sarebbe stato possibile almeno a proposito di illuminismo in generale – scritti
di Croce e Gentile.
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Un ripensamento che andava oltre il riconoscimento consentaneo dei pregi di un
illuminismo temperato, disposto, nella congeniale peculiarità del mondo inglese, ad
elaborare il senso dell’autonomia del sentimento morale, e a trasmetterlo felicemente
alla cultura filosofica tedesca. Ciò era stato già riconosciuto, concesso, da pagine di
Croce, belle come di consueto, su di un autore, Shaftesbury, tra i primi interessi, si è
visto, di Garin: pagine che tali interessi poterono contribuire ad ispirare, peraltro con
un’attenzione a forme di un ‘umanesimo’ settecentesco che sarebbe stata vivissima in
essi. Il pensiero dello Shaftesbury, oltre «a fondare il nuovo umanesimo, […] stabilì
saldamente l’originalità e spontaneità del sentimento morale», offrendo qualcosa di
più che un «ufficio storico, esercitato nella formazione dell’idealismo etico moderno».
Infatti «c’è in lui, come in genere nella filosofia inglese del settecento, qualcosa che
[…] appartiene ancora al presente o all’avvenire: qualcosa che non operò presso i
grandi idealisti tedeschi, tutti dal più al meno avvinti e premuti da tradizioni scolasti-
che e accademiche, e che aspetta di operare ai giorni nostri: quel suo vivissimo senso
che la vera filosofia debba volgersi unicamente a far conoscere noi a noi stessi e a per-
fezionare il nostro intelletto e il nostro giudizio e ad affinare la nostra vita interiore e
morale; quella sua indifferenza e aborrimento per le insolubili questioni metafisiche»
(B. C
ROCE
,
Shaftesbury in Italia
, scritto del 1924 poi ripubblicato in
Uomini e cose del-
la vecchia Italia, Serie prima
, Bari, 1927, pp. 273-275). Su questo senso umanisti-