ENRICONUZZO
34
verso non pochi dei suo esponenti manifestò vive le esigenze stesse cui
Vico rispondeva»
43
.
Già risolutamente immesso questi nel suo tempo, sottratto alle
fagocitazioni delle grandi interpretazioni idealistiche, si ponevano le
premesse per ritornare a queste, come a tutte le altre interpretazioni,
nella piena consapevolezza della necessità metodica dell’interprete di
rileggere l’interpretato e le interpretazioni nel complesso regime erme-
neutico di costitutivi intrecci e doverose distinzioni.
In tal senso – avrebbe in seguito detto Garin con grande chiarezza –
il pensatore napoletano andava reso oggetto di uno studio indissolubile
da quello delle sue interpretazioni, quindi della sua fortuna, del vichi-
smo, per meglio poi ritornare a intendere – ovviamente lontani da ogni
ingenua pretesa di ‘oggettività’ – la sua peculiare fisionomia storica. In
una pagina de
La filosofia come sapere storico
che poteva essere assunta
come un vero e proprio ‘manifesto’ di un diverso corso degli studi
vichiani, si afferma:
rientra nella storia di Vico tutto il vichismo, e una matura coscienza storiogra-
fica non tornerà nuda a Vico, ma avrà presente la storia delle interpretazioni
vichiane e ne coglierà le ragioni e il senso: e collocherà Vico in questo più am-
43
E. G
ARIN
,
Dal Rinascimento al Risorgimento
, vol. II de
La filosofia
, 2 voll., Mila-
no, 1947, p. 437; in
Storia della filosofia italiana
, cit., vol. III, p. 1016. Secondo una
successione, e titolazione, dei capitoli non alterata nella riedizione, tale capitolo era ap-
parso come capitolo III della «Parte terza» (dopo invece «Parte quinta»), nel secondo
volume, appena citato, dell’edizione vallardiana. Garin in quelle pagine additava le ra-
gioni dell’incomprensione per Vico nel Settecento solo in parte nella ‘mentalità’ di
questo, come aveva sostenuto Cataldo Jannelli, e sicuramente non nello stile, «ch’egli
ebbe mirabile ed efficacissimo», ma in una «certa indecisione di pensiero», e nella «va-
rietà molteplice, e talora ambigua, de problemi agitati» (
Dal Rinascimento al Risorgi-
mento
,
ibid.
); con rilievi di ‘limiti’ del pensiero vichiano ai quali nel 1966 si aggiungeva
anche quello di «una certa arcaicità di cultura» (
Storia della filosofia italiana
,
ibid.
). Pe-
raltro quella incomprensione era stata tutt’altro che assoluta. «Comunque una ininter-
rotta tradizione vichiana, che congiunge Vico a Cuoco, non può negarsi nella seconda
metà del ’700»; pur se ai Genovesi e Filangieri, tanto ammirati di Vico e «tanto viva-
mente interessati al mondo degli uomini, restava estraneo il senso vichiano di una con-
quista spirituale, di un ideale platonico concretamente operoso per entro la storia del-
l’umanità (
Dal Rinascimento al Risorgimento
, cit., p. 441). Nell’ed. del 1966: «…il sen-
so vichiano di una conquista progressiva dello spirito umano, attraverso l’attuazione
nelle vicende storiche di un assoluto ideale, di sapere platonico» (
Storia della filosofia
italiana
, cit., p. 1021). Dove può essere osservato che ad un ventennio circa di distanza
non veniva abbandonato il lessico idealistico dello ‘spirito’.