GLI STUDI VICHIANI DI EUGENIO GARIN
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levatura di Momigliano e Mazzarino
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. Va però anche detto che Garin
evidenziò più volte il configurarsi nella cultura umanistica di una con-
cezione pratica non erudita, non meramente ‘intratestuale’ si potrebbe
dire con altre parole, della ‘filologia’, e dell’apertura di questa in dire-
zione della ‘filosofia’. Che è evidentemente argomento cruciale in una
considerazione degli ‘antecedenti’ del radicale allargamento vichiano
delle giurisdizioni della ‘filologia’ (allargamento che in effetti, sul pia-
no tematico, sappiamo essere stato già significativamente effettuato in
aree consistenti del sapere filologico-storico seicentesco) e quindi della
sua concezione del nesso di questa con la ‘filosofia’.
Ebbene, sulla materia Garin fu fin da principio problematicamente
equilibrato. Basta rivedere la sua trattazione, quale era stata elaborata
negli anni ’40, dei caratteri e del significato dell’insorgere di un nuovo
sapere storico, filologico, in autori come Poliziano o Valla, poi consi-
derati da alcuni studiosi come i protagonisti almeno di una ‘preistoria’
dello storicismo, che avrebbe avuto poi in Vico un momento di più
forte fondazione. Specialmente con Valla, con il suo modello di una fi-
lologia la quale «non è mai curiosa erudizione o svago letterario», ma
«strumento d’indagine» utile alla vita degli uomini, la costruzione di
una «nuova logica» dell’esperienza di tenore storico, filologico, idonea
a liberarci dalle incrostazioni di «interpretazioni che come diaframmi
vengono frapponendosi fra noi e il testo», fa venire alla luce una «con-
sapevole riduzione a sapere storico del più fecondo sapere nostro».
Epperò anche una tale logica si colloca in un movimento, carico di un
non disconoscibile spirito religioso, di «ritorno all’antico», a una «pu-
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Così Momigliano (del quale sono note le vedute sull’arcaicità del pensiero vi-
chiano) situava soltanto nella seconda metà del secolo XVII un discostamento signifi-
cativo da un rapportarsi storico al mondo antico svincolato dall’adozione esemplaristi-
ca del modello classico e non subordinato allo schema della storia universale, e soltan-
to nella grande opera di Gibbon ravvisava la matura (e neppure totale) composizione
della separazione tra ricerca filologica e antiquaria da una parte e storia narrativa dal-
l’altra che si era aperta proprio nella cultura umanistica, nonostante le tante sollecita-
zioni che in essa operavano per la loro fusione. E Mazzarino, guardando soprattutto al
modello di Niebuhr di un approccio sistematicamente ‘scientifico’ alla storia romana,
affidava alla profondità dello sguardo di Vico e soprattutto alla sua disposizione ad
una radicale ‘critica sistematica’ la capacità di configurarsi come un’antecedenza di
una maturità di metodo filologico non conseguita ancora neppure nel Settecento. Su
ciò ho scritto alcune pagine (che lambiscono anche l’opera di Garin), alle quali rinvio,
nel saggio
La riflessione sulla storia antica nella cultura repubblicana inglese del ’600
, in
«Atti dell’Accademia di Scienze Morali e Politiche» XCI (1980), in partic. pp. 114 sgg.