GLI STUDI VICHIANI DI EUGENIO GARIN
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suete preoccupazioni e formule della storiografia neoidealistica; sia
perché vi si affacciava con forza un elemento nodale di quella caratte-
rizzazione, vale a dire l’importanza e incidenza in quel tempo di forme
di cartesianismo e platonismo ‘agostiniani’
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.
Ora sia quel tipo di confronto, sia quell’elemento interpretativo si
rivelano come dati assai importanti nell’elaborazione del quadro critico
di cui si diceva: il quale palesa, nei confronti della più autorevole diret-
trice interpretativa di ispirazione neoidealistica, un’essenziale diversità
dell’atteggiamento critico, consegnata non a dichiarazioni di metodo,
ma, sommessamente, all’effettualità del disegno espositivo e interpre-
tativo: basato in primo luogo sull’individuazione delle più grosse que-
stioni problematiche, consegnate poi a Vico, sulle quali si era impegna-
ta in ispecie la cultura meridionale secondoseicentesca nel suo sforzo
di assumere le nuove concezioni del pensiero filosofico-scientifico mo-
derno coniugandole con le tradizioni (neoplatoniche, naturalistiche,
etc.) della cultura rinascimentale
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.
Ovviamente l’elaborazione di tale quadro presentava debiti enormi
soprattutto verso gli studi compiuti da Gentile e Croce e Nicolini. Tut-
tavia di fatto non accettava elementi capitali del modello storiografico
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Il giovane studioso teneva presenti, e discuteva con autonomia di giudizio, an-
che la più vecchia
Histoire de la philosophie cartésienne
del Bouillier e poi i lavori di
Karl Werner (opportunamente più volte ben utilizzato), di Gabriel Maugain, di Louis
Berthè de Beausucèle: questi ultimi tre principali voci critiche poi tenute presenti nel-
l’opera uscita nel 1947, nella quale sarebbe stata considerevole l’utilizzazione degli
studi minori di taglio prevalentemente erudito.
Quanto a tratti ‘agostinisti’ nell’opera del Fardella, il giovane Garin sviluppava la
tesi che «il tentativo di inserire le idee cartesiane nel tronco dell’agostinismo» rappre-
sentava una delle «due parti della dottrina» del filosofo siciliano – il quale aveva fre-
quentato di persona i circoli cartesiani parigini ed era stato anche in corrispondenza
con Leibniz – che meritavano ancora attenzione: l’altra essendo «la critica dell’esisten-
za del mondo materiale, ove rivela una certa originalità sia rispetto al Malebranche, sia
rispetto al Collier e al Berkeley» (I
D
.,
Michelangelo Fardella
, cit., p. 395). Dopo avere
esaminato le pagine di polemica del Fardella con le posizioni del poco conosciuto (ma
non poco interessante, se non altro per taluni tratti preoccupantemente ‘spinozisti’)
Matteo Giorgi, Garin non passava sotto silenzio la significativa nozione da quegli di-
scussa del ‘punto’ metafisico, inesteso ma generatore di estensione, che faceva non a
caso colloquiare con lui Leibniz: ma non gli veniva su ciò a mente Vico (neppure in se-
guito a questo proposito richiamato).
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Una simile impostazione nel primo costituirsi dell’interpretazione offerta da
Garin di Vico deve essere tenuta presente nel valutare quali siano stati per lui i ‘con-
temporanei’ di Vico.