GLI STUDI VICHIANI DI EUGENIO GARIN
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Quanto a Croce, almeno ne
La filosofia di Giambattista Vico
la trat-
tazione ‘sistematica’ che contrassegnava quel libro, il suo lavoro più
importante sull’argomento, per svariati decenni il più importante e in-
fluente nel relativo panorama critico, comportava un’assenza presso-
ché assoluta di considerazioni, indicazioni, attorno a contesti del pen-
siero vichiano, ad influenze su di esso, che pure Croce non mancava di
richiamare di passaggio
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.
G.B. Vico e le polemiche scientifiche e letterarie dalla fine del secolo XVII alla metà del
XVIII secolo
, Bari, 1914.
L’esigenza di riannodare le fila già della prima lettura gariniana di Vico e del rin-
novamento culturale seicentesco al panorama critico con cui si confrontava ha reso ai
miei occhi necessario allargare lo sguardo almeno ai protagonisti di questo. Va da sé
che una ripresa non occasionale del discorso sulla materia richiederebbe ben altri ap-
profondimenti, e preliminarmente un riferimento ‘esauriente’ alla letteratura critica
nel frattempo resasi disponibile. Qui mi limito, esemplificativamente, a ricordare il
saggio di F. R
IZZO
C
ELONA
,
Gentile e Vico
, in
Vico e Gentile
, a cura di J. Kelemen e
J. Pál, Soveria Mannelli, 1995, pp. 43-65. Non pare invece porsi il problema di una
preliminare ricognizione e disamina della bibliografia esistente L. J
ANSSENS
,
Croce et
Gentile, lecteurs de G.B. Vico
, in «L’art du comprendre» VII (avril 1998), dedicato a
«G. B. Vico et la naissance de l’anthropologie philosophique», pp. 168-88.
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«E più giustamente ancora è stato indagato il confluire nella concezione vichiana
delle correnti platoniche (del platonismo della Rinascenza) e galileiane, particolarmen-
te di queste ultime», il che non diminuisce l’originalità indubbia di «un pensatore fan-
tasticheggiante e arbitrario» (B. C
ROCE
,
La filosofia di Giambattista Vico
, cit., p. 132).
Ma – va detto – di fantasticherie e arbitri, si è poi meglio compreso, in larga misura as-
sunti da idee, posizioni culturali, dottrinarie, dibattiti coevi o di poco precedenti. Allo
stesso tempo vanno debitamente tenuti presenti altri scritti crociani più attenti alla
contestualizzazione del pensiero vichiano, e in particolare
Le fonti della gnoseologia vi-
chiana
, rist. nel
Saggio sullo Hegel e altri saggi di storia della filosofia
(si vedano, nella
IV ed., Bari, 1948, pp. 235-262) e, ancor più, la
Storia dell’età barocca in Italia
(nella
IV ed., Bari, 1957, in partic. pp. 223 sgg.). Messa a tema la «genesi» del pensiero di
Vico, era chiaro che essa non poteva essere «ben intesa» se non tenendo presenti sia
«le nuove tendenze europee» (Bacone, Grozio e gli altri giusnaturalisti, e soprattutto
Cartesio), e pure «altri legamenti e filamenti secenteschi» più ravvicinati, propri della
cultura italiana e napoletana dell’«età barocca», sia, ancor prima, le tradizioni del Ri-
nascimento italiano. Quanto a queste, in particolare «la sua metafisica e filosofia della
natura ritorna al tipo di quelle del Rinascimento […], la sua teoria gnoseologica della
conversione del vero col fatto ebbe il suo punto di partenza nel Ficino, nel Cardano,
nel Sánchez», etc. Di più, le stesse presenze ‘barocche’ andavano ricondotte, assai di-
scutibilmente, entro una più generale categoria di Rinascimento. Non soltanto infatti
bisogna riconoscere quanto in Vico è «schietto Rinascimento», ma anche, più in gene-
re, «quanto il barocco stesso sia estremo Rinascimento, prosecuzione intensificazione
di taluni concetti di questi» (ivi, pp. 235-237).