ENRICONUZZO
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E se si viene a tempi più ravvicinati, proprio quelli nei quali Garin
redigeva il suo lavoro
Dal Rinascimento al Risorgimento
, De Ruggiero
offriva una ripresentazione – pur se con qualche distinguo che va tenu-
to presente – nella sostanza fedele di quel modello
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.
Nella sostanza restava però l’impronta di una lettura sistematica e diretta a eviden-
ziare gli elementi di assoluto isolamento, nell’assoluta separazione tra l’elemento bio-
grafico e quello speculativo. Pertanto Vico «oltrepassa il suo tempo e quasi intero il se-
colo decimottavo, e dà la mano alla filosofia idealistica e al romanticismo» (ivi, p. 238).
Garin già negli anni ’40 non poteva essere che molto lontano dall’interpretazione
crociana di un pensiero altissimo di Vico pensato in lui, contro di lui, un pensiero
‘idealistico-panteistico’ represso – per il filosofo che pure ha sempre ammonito a leg-
gere un autore soltanto nelle sue opere – fino al punto da non lasciarne «apparire trac-
cia nei suoi libri». Infatti quella idea, quell’«interpretazione di tutta la realtà, della na-
tura e
di Dio, come Mente» era una «tendenza […] oggettiva, della Scienza nuova, e
non soggettiva, del Vico, nel quale quella scienza, per così dire, si era pensata […]. Il
Vico come persona, non solo non la favorì, ma anzi la compresse e represse con tanta
energia che non ne lasciò apprire traccia nei suoi libri […]. Egli era e voleva restare
cristiano e cattolico» (I
D
.,
La filosofia di Giambattista Vico
, p. 127).
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Fedeltà che talora portava a valutazioni ancora più pesanti. Così, a proposito
dell’opera del Maugain poco fa richiamata, De Ruggiero, pur giudicandola «tra le più
pregevoli» fra le storie della cultura italiana che avevano interessato quel periodo in
cui «il pensiero lavora a vuoto», tranquillamente affermava la sostanziale inutilità di
quel lavoro: ché infatti «a nulla giova lo sforzo dello storico per colmare i vuoti; egli
potrà illudersi di riempirli con nomi di autori, di libri, di accademie, ma non riuscirà a
colmarli d’idee». In realtà «bisognava, per meglio intendere Vico, poterlo reinterpreta-
re alla luce di una filosofia dello spirito come attività creatrice e sintetica» (G. D
E
R
UG
-
GIERO
,
Storia della filosofia
, Parte quarta,
La filosofia moderna
, vol III,
Da Vico a Kant
,
Bari, 1943; II ed. che seguiva quella del 1941, pp. 6, 79).
In verità anche De Ruggiero ‘temperava’ una tale posizione riconoscendo il valore
del recente lavorio storiografico (dovuto a Croce, e sul suo esempio, a Gentile, Nicoli-
ni, Corsano), che non si era più fermato «alle apparenze più superficiali, prendendo il
filosofo nel suo isolamento, e cioè rinunziando di fatto a comprenderlo»; invece pro-
ponendosi «il compito più difficile di studiarlo nella sua genesi e nei suoi rapporti con
la cultura europea e italiana del ’700, non soltanto nel senso di rintracciare le fonti e di
ricostruire l’ambiente culturale in cui egli si formò, ma anche in quello di indagare nel-
l’interno della sua stessa opera la mediata presenza ed efficacia delle une e dell’altro».
Da un simile lavorio era venuta fuori «l’immagine di un Vico più storicizzato e, per
così dire, pacificato con la cultura del suo tempo» (ivi, pp. 20-21).
Si tratta di considerazioni che sembrano dichiarare un’ineccepibile posizione teo-
rico-metodica, se non fosse che esse assumono poi la funzione, abituale nel consueto
costume discorsivo di ispirazione neoidealistica, di rappresentare un momento poi
superato nella sintesi dell’argomentazione dialettica, e che sovente passa senza lasciare
consistenti tracce di sé. Ciò appare chiaro non soltanto nell’appello che si è visto a tro-
vare la migliore comprensione di Vico «alla luce» di una più alta speculazione, ma già,
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