GLI STUDI VICHIANI DI EUGENIO GARIN
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In verità v’erano stati dei lavori i quali avevano maggiormente inno-
vato il tipico impianto neoidealistico del discorso su Vico: soprattutto
– ma in modo diverso, e con diversi ‘pregi’ e ‘limiti’ – i lavori di Fausto
Nicolini e Antonio Corsano.
Del primo dovrebbe essere superfluo ricordare in particolare il
tanto importante libro del 1932,
La giovinezza di Giambattista Vico
,
che metteva a frutto, nel ricostruire l’ambiente nel quale questi inizial-
mente si mosse, una serie di puntuali, minuziose, indagini che avevano
investito il ‘risorgimento’ della cultura napoletana negli anni successivi
alla peste del 1656. Tuttavia nella sostanza il modello interpretativo
neoidealistico non veniva modificato dal benemerito studioso ed edito-
re di Vico, e ‘collaboratore’ di Croce nell’impresa della
Bibliografia
vichiana
: sia perché da quelle indagini, al di là della caratterizzazione
in chiave ‘eclettica’ della nuova cultura, non veniva l’individuazione di
nodi problematici da questa più meno affrontati e lasciati in eredità alle
generazioni successive; sia perché ancora una volta il carattere dell’ana-
cronismo veniva confermato, e anzi in diversi modi esteso
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.
subito in quella stessa pagina, nel ‘temperamento’ a sua volta di quell’immagine del
Vico pacificato con il suo tempo: ed invece comunque esposto ad una condizione di
sfalsamento storico, in anticipo con il suo tempo e di conseguenza costretto alle bizzar-
re contorsioni del suo pensiero. «Ma la pacificazione è sempre in qualche modo par-
ziale: resta il fatto che la reazione di Vico all’illuminismo è stata troppo tempestiva
[…] e che risente di questa sua immaturità, non trovando nel suo avversario, né in sè
stessa, uno spiegamento ampio ed armonico, e assumendo perciò quelle forme bizzar-
re e contorte che ci colpiscono con la loro stranezza» (ivi, p. 21). Non sorprende allora
che del confronto con il proprio effettivo ambiente culturale resti ben poco nella pur
cospicua sezione (pp. 5-104) su «Vico e l’illuminismo italiano» (in effetti quasi tutta
risolta nella trattazione di Vico, e poi dei suoi ‘epigoni’); laddove Garin – come si ve-
drà meglio tra poco – in quegli stessi anni (e senza nessuna altisonante dichiarazione di
metodo) individuava i problemi di Vico (e di conseguenza anche sue difficoltà) in gra-
vosi nodi lasciati in particolare dalla precedente cultura meridionale (e non da un ge-
nerico ‘illuminismo’), a seguito del suo complesso e composito impegno ad assumere
autonomamente le principali linee del pensiero moderno. Gli studi di De Ruggiero
vengono citati da Garin tra i principali punti di riferimento critico su Vico, dopo quel-
li di Croce e di Nicolini, di Gentile, di Corsano.
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Un aspetto di ‘anacronismo’ toccava allo stesso fenomeno del «Risorgimento»
culturale del secondo Seicento, che, «quanto a indirizzo generale di studi», addirittura
seppe «passare dal medio evo all’evo moderno». Ma ovviamente campione di ‘anacro-
nismo’, di ‘doppio anacronismo’, era ancora una volta Vico. Già per il suo aureo latino
egli testimonia di appartenere a «due tendenze quasi antitetiche e che fanno di lui un
pensatore e uno scrittore doppiamente anacronistico – la tendenza classica, umanisti-
ca, talora retriva, per cui somiglia più d’una volta a un uomo del Rinascimento; e la
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