ENRICONUZZO
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Sono accenti, se non, ben di più, chiavi di lettura, che non si leggo-
no nelle pagine gariniane degli anni ’40, per quanto esigue, e chiara-
mente incomparabili per l’apporto fornito agli studi vichiani rispetto
alla tanto documentata e organica lettura di Corsano.
Del resto Garin non ha mancato poi di evidenziare la novità di me-
todo che scorreva nella ricerca del Corsano, osservando che dalla let-
tura dei suoi lavori vichiani si era reso conto «che stavamo lavorando
nel medesimo campo, e avevamo, almeno in parte, approfittato delle
stesse lezioni di metodo», così considerandolo «una specie di compa-
gno di lavoro a distanza»
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.
Se anche a confronto con una tale posizione critica, innovativa e so-
lida (sia pur discutibile anche in cruciali ipotesi ermeneutiche), le pagine
di Garin mostrano qualche positivo elemento di peculiarità, si può dire
che esse configuravano l’esempio di una lettura esente da ogni eco spa-
ventiana e da ogni ulteriore anacronismo; e anche una prima base per
una reimpostazione, almeno
in nuce
, sia del problema delle eredità rina-
scimentali in Vico, sia della posizione di Vico nei confronti di Cartesio,
o più in genere della ‘nuova filosofia’: nel primo caso in direzione della
sottrazione di quelle eredità ad una forzata ricognizione di singole in-
fluenze direttamente attinte alla cultura umanistico-rinascimentale (spe-
cie nelle forme del platonismo ficiniano, cusaniano); nel secondo caso in
direzione non soltanto della sottrazione di quella posizione ad un sem-
plice, astratto confronto diretto con ‘Renato’, ma anche del reperimento
di precisi nodi dell’orizzonte problematico vichiano nella recezione delle
nuove filosofie in larga misura a quegli ispirate.
(ivi, p. 115). È interessante osservare come Corsano, in questa opera ancora non del
tutto matura ma densa di innovativo fervore critico, riproducesse la figura di un Vico
proteso conflittualmente (tra ipotetiche risoluzioni e fattuali irrisoluzioni) oltre la sua
stagione più propria, ma riavvicinato almeno ad un certo Settecento: «C’era insomma
a fermentare nella mente del Vico tutto, o quasi, il travaglio rivoluzionario dello spirito
settecentesco: ma con così aspra opposizione di attitudini che, o risolto dialetticamen-
te l’avrebbe condotto a dominarlo e oltrepassarlo di gran lunga, o lasciato a sé, gli sa-
rebbe ristagnato nella più tragica infecondità» (ivi, pp. 115-116).
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E. G
ARIN
,
Ricordando Antonio Corsano
, in
Verità e coscienza storica
, cit., p. 17. Garin
ricorda che fu nel 1937 che per la prima volta lesse Corsano, cominciando con il cercare i
saggi confluiti nel volumetto, poco sopra citato,
Il pensiero religioso italiano dall’umanesimo
al giurisdizionalismo
, e poi subito passando a leggere, «con molto interesse», il volume vi-
chiano del 1935. Di lì a non molto, nei primi anni ’40, avrebbe redatto un’accurata recen-
sione – tra apprezzamenti e misurati dissensi – del libro di Corsano del 1940 su
Il pensiero
di G. Bruno nel suo svolgimento storico
(cfr. «Civiltà Moderna» XV, 1943, pp. 183-186).
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