GLI STUDI VICHIANI DI EUGENIO GARIN
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no, e del suo «indirizzo umanistico»
82
, nelle altre opere vichiane, dal
De antiquissima
al
Diritto universale
, alla
Scienza nuova
83
.
82
Indirizzo, rispetto alle prime orazioni, «più caratteristicamente delineato nel
De
ratione
» (ivi, p. 364 [932-933]).
83
Quanto al
De antiquissima
, l’autore presenta anche questa opera come «legata
assai strettamente al pensiero e ai problemi così della riflessione rinascimentale come
di quella del tempo di Vico», limitandosi poi ad enunciare la tesi che essa «rivela net-
tamente molti dei motivi che, trasfigurandosi, diventeranno i temi della
Scienza Nuo-
va
». Quell’opera comunque provava a risolvere la cruciale questione della scissione fra
fisica e metafisica, consegnata si è visto – agli eredi della tradizione culturale napoleta-
na seicentesca. Ora, rispetto alla soluzione ‘ontologica’ (la fede nella scrittura matema-
tica della natura) di Galilei (e di Ficino) quella di Vico risulta irrisoltamente prossima
al ‘convenzionalismo’, vicina a Di Capua, al cartesianesimo napoletano, di cui però
«mantiene ancora le aporie», e allo stesso tempo alle posizioni di Ficino, Steuco (
Dal
Rinascimento al Risorgimento
, cit., pp. 365-367 [934-936]). Dove però pare che l’irri-
soluzione sia in parte anche di Garin, irrisoluto quanto all’attribuzione vichiana al
sapere matematico di un deciso convenzionalismo, o di un residuo ontologico. Benin-
teso questione grave, questa, e storiograficamente ancora aperta (si ricordino in parti-
colare precise pagine del Lachterman), ma allora da lui neppure sufficientemente te-
matizzata. Questione nella quale Garin tende qui a intersecare la questione del sapere
matematico accessibile all’uomo e quella della dottrina dei punti metafisici. Infatti
Garin rileva che «per via simbolica il Vico costruisce tutta la sua metafisica in cui in
realtà, assai più che non sembri, resta fedele alla vecchia fiducia nell’
ars numerandi
».
Ora questi simboli sono interpretati come quelli del linguaggio gometrico-matematico:
«abbastanza incoerentemente, […] dava ai simboli astratti della matematica la possi-
bilità di trasfigurarsi in entità reali, obbedendo ancora una volta alla fede galileiana»,
«che era la fede stessa» di Cartesio, «circa il valore obbiettivo,
fisico
, della matema-
tica» (ivi, pp. 368-369 [938]). Che non pare giudizio corretto. Dal momento che si
trattava piuttosto di un tentativo analogo a quello compiuto da linee ‘ipotetico-corri-
spondentistiche’ del pensiero europeo (a partire da Leibniz, con avvicinamenti storio-
grafici in proposito già effettuati e alla lontana richiamati da Garin) di trovare una
soluzione al vecchio problema platonico del passaggio dal puramente intellegibile,
uno, inesteso, alle determinazioni fenomeniche, all’estensione, e così via.
Resta comunque ancora una volta il fatto che le difficoltà, le aporie di Vico, sono in
sostanza tutte ricondotte ad una precisa situazione culturale, alla difficoltà di risolvere
adeguatamente, almeno agli inizi, le grosse questioni che stavano in essa sul tappeto.
Quanto al
Diritto universale
, si è già visto come Garin si fermasse alla distorcente
definizione di quell’opera come di un abbozzo della
Scienza nuova
, che di questa pro-
poneva solo adombrate, immature, teorie. L’esiguità, e obiettiva pochezza, della tratta-
zione gariniana dell’opera tanto importante di Vico era perciò chiaramente espressiva
non soltanto di interessi e competenze di uno studioso che doveva assolvere al compi-
to limitato di redarre un lavoro ‘manualistico’, ma anche di una condizione di effettiva
complessiva povertà delle indagini su quell’opera (opera del resto la quale risulta tut-
tora – dopo alcuni contributi assai importanti, segnatamente propri degli inizi della