«IPSI CAUDA SCORPIONIS IN ICTU FUIT»
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[c. 598r] Ciò che bisogna giudicare delle cinque Tragedie del Gravina
pubblicate si riconosce facilmente non soltanto dal modo di scrivere, ma
soprattutto dall’indole di colui che scrive
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. Prima di tutto egli sembra che da-
gli antichi e più mordaci scrittori di epigrammi abbia ereditato la mala lingua
e la penna intrisa nel veleno del livore. A tal punto egli fu sempre simile alla
coda dello scorpione nel colpire
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, che pur di suscitare il plauso e il riso dei
bricconi
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simili a lui, giammai risparmiò nessuno, neanche se amico. Anzi,
per non trascurare nessuna occasione di pungere, non si vergognò mai di
spezzare anche i legami di amicizia, a tal punto fu per lui cosa sublime, a
costo della diminuzione della fama altrui, conquistarsi la sua, anche presso lo
stupidissimo volgo. Chiunque avrà voglia di conoscere più da vicino l’indole
di codesto tragediografo, servendosi di coloro i quali gli erano più familiari,
avrà tanti testimoni
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della sua sfrontatezza, della sua temerarietà, della sua
impudenza, della sua equivoca religione, quanti furono gli infelicissimi uditori
delle sue dichiarazioni verbali
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.
A cominciare dall’inizio di questo libro, avverte il lettore che egli deve at-
tribuire qualsiasi espressione che si discosta dagli istituti e dai costumi cristia-
ni non all’autore, ma ai personaggi
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.
Ottima e santa professione, propria dei più buoni e timorati poeti. Ma vo-
lesse il cielo che avesse conservato questa intenzione, che all’inizio esibisce
con forza, anche nel corso del suo poetare fino alla fine! Ma, trascinato da
questo vizio di dir male e di abbaiare, sotto la veste di un personaggio da lui
diverso scaglia mille dardi di malvagità e di ingiuria non soltanto contro le
cose e gli uomini profani, ma anche contro il cielo e cerca di distruggere e de-
primere e schiacciare le cose più sacre e lo stesso diritto.
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Come si vede, sin dall’inizio l’invettiva assume i toni dell’attacco personale, cosa
che fa ipotizzare che Bonucci conoscesse Gravina personalmente e che facesse parte di
quegli ambienti della Curia ostili al Roggianese, di cui faceva parte anche Sergardi e
sui quali torneremo più avanti.
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«Ipsi cauda scorpionis in ictu fuit».
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«Nebulones».
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Gravina era infatti morto da poco tempo; anche per questo motivo colpisce
ancora di più la violenza dell’invettiva da parte di un religioso.
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Dall’astio di queste parole si può dedurre che Bonucci stesso fu tra questi «infe-
licissimi uditori».
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Queste espressioni di Gravina, che anche nell’edizione del ’12 sono in latino,
fanno parte dell’
Avvertenza
intitolata «Auctoris edictio» che segue immediatamente la
dedica delle
Tragedie.