ANNARITA PLACELLA
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Gesuiti del tempo e delle distinzioni morali che essi compivano (anche
se egli non è Gesuita, ma lo è Bonucci, le cui affermazioni capziose egli
deve smontare utilizzando proprio le sue armi retoriche): quei versi
dell’
Andromeda
possono, in teoria, riferirsi o ai sacerdoti pagani (se
presi alla lettera) o al Papa (se letti secondo il senso allegorico); quan-
do ci sono due diverse possibilità, una buona e una cattiva, di giudica-
re una persona, dice Bertolotti, siamo autorizzati ad assolverla
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; dun-
que quei versi vanno interpretati in senso buono (cioè quello letterale).
Tuttavia, aggiunge Bertolotti, quel passo è comunque pericoloso, per-
ché può indurre alcuni lettori (come è infatti accaduto a Bonucci) a
credere che nel suo senso allegorico alluda al Papa; in ogni caso essi
cadrebbero in errore, perché non è corretto, data la premessa che
Gravina
fa nel
Prologo
, «interpretare le invettive di Proteo contro i
sacerdoti pagani come dette da Gravina contro i sacerdoti cattolici».
Bertolotti fa riferimento (640r) anche al brano evangelico in cui Cristo
diceva (
Giov.
2, 19-22;
Mt.
26, 61) che avrebbe potuto ricostruire in
tre giorni il Tempio se lo avessero abbattuto, intendendo con queste
parole riferirsi al tempio del Suo corpo, che sarebbe risorto tre giorni
dopo la Sua morte. I presenti accusarono Gesù di falsità, non avendo
compreso il vero senso che Egli dava a quelle parole. Bertolotti dice
che questo esempio serve a comprendere anche i versi dell’
Andromeda
incriminati da Bonucci: quest’ultimo, infatti, ha dato a essi un senso
diverso da quello che avevano realmente per Gravina. E ciò in accordo
con quanto si diceva prima dei vari livelli di lettura di un’opera. Perciò
il documento si conclude con il voto pronunciato da Bertolotti
immediatamente prima della firma: «Nullam invenio in eo causam».
Egli, dunque, ritiene che non solo non sia necessario alcun processo di
censura, ma che non vadano neanche eliminati i diciannove versi indi-
cati da Bonucci.
dicare ‘un libro sulla base di singole frasi estrapolate dal contesto, senza metterle in re-
lazione con altre contenute nella medesima opera’» (W
OLF
,
op. cit.
, p. 67).
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Si trattava di un comportamento usuale che fu poi messo per iscritto nella co-
stituzione
Sollicita ac provida
del 1753, dove furono sanzionate le norme per la censura
libraria: «se a un autore cattolico, che ha fama di uomo dotto e pio, dovessero sfuggire
delle formulazioni passibili di un’interpretazione positiva come di una negativa, la
convenienza richiede di intenderle nel primo modo, per quanto è possibile» (
Sollicita
ac provida
, in «Magnum Bullarium Romanum», s. 2, t. IV, Roma, 1757, par. 19, citato
in W
OLF
,
op. cit.
, p. 43).
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