«IPSI CAUDA SCORPIONIS IN ICTU FUIT»
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Bertolotti, dopo aver parlato del
Prologo
, annuncia di passare al-
l’esame delle
Tragedie
e di voler riferire brevemente in primo luogo se
ci siano cose degne di esser notate dal punto di vista del fine dell’ope-
ra, e in secondo luogo se ci siano cose degne di esser notate dal punto
di vista del fine di colui che opera.
Bertolotti passa subito (641v) ad esaminare il primo punto e dichia-
ra, mostrando di possedere una grande cultura ed erudizione, di con-
cordare con sant’Agostino (cita il quarto libro del trattato
Contro Pela-
gio
) e altri teologi per i quali il fine dell’opera, una volta esaminato l’in-
tero contenuto per se stesso, è quello al quale l’opera stessa viene ordi-
nata (cioè finalizzata: come si vede, Bertolotti fa uso di un linguaggio
tipico della filosofia scolastica). Invece, il fine di colui che opera è il
fine verso il quale l’opera viene diretta con intenzione.
Molto interessante è il discorso di fondo sulla tragedia condotto da
Bertolotti (642r), che ben si inserisce all’interno della polemica settecen-
tesca e delle diatribe teologiche su questo genere. Citando le teorie sulla
mimesi di Platone e Aristotele, Bertolotti scagiona le
Tragedie
di Gravina
dall’accusa di mancanza d’ortodossia, ma lo fa considerandole solamente
dal punto di vista del fine dell’opera e non da quello del fine dell’autore,
che, come vedremo, egli
finisce col condannare. Le
Tragedie
,
cioè, non
sono condannabili per il fatto che in esse vengono esposti le virtù e i vizi
dei personaggi, perché in questo Gravina segue le regole della mimesi
proprie di questo genere (lo stesso Gravina in una sorta di
Avvertenza
,
lo
si è visto, per prevenire le accuse che poi effettivamente gli furono mosse,
si dissociava da qualsiasi cosa dicessero di sacrilego o immorale i suoi
personaggi, dei quali riferiva, secondo le regole della mimesi, i discorsi
senza per questo condividerli). Perciò era stato possibile all’autore attri-
buire una nota di empietà ai sacerdoti pagani: perché così esigeva la legge
dell’imitazione. Cita inoltre Arnobio, che nel libro quarto contro i Gen-
tili, citando a sua volta Varrone, riteneva che da parte dei primi sacerdoti
dei Gentili le frodi fossero continue e i sacrifici riprovevoli.
Nella conclusione (c. 645r) del suo parere, dopo aver ‘salvato’ le
Trage-
die
considerandone il contenuto per se stesso (cioè il fine dell’opera),
Bertolotti esprime un giudizio negativo sul loro autore (cito dalla mia tra-
duzione): «ciò sia detto per le Tragedie, perché se fosse lecito aggiungere
qualcosa sull’autore stesso, con naturalezza sosterrei ciò che di Erasmo
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Una tale accusa di ateismo ad Erasmo ai tempi in cui scrive Bertolotti (che a sua
volta riprende un giudizio altrui) è giustificata dal fatto che Erasmo era all’Indice, e tra
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