UNIVERSALISMO ETICO E DIFFERENZA
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sofiche, ma anche e soprattutto dalla costitutiva ambivalenza degli og-
getti della sua riflessione: il
certo
della giurisprudenza romana (che è
«un’arte di equità insegnata con innumerabili minuti precetti di giusto
naturale») e il
vero
della scienza del giusto (quella insegnata dai «mo-
rali filosofi», la quale «procede da poche verità eterne»)
12
.
Ora, quale che sia l’orientamento interpretativo che si voglia pre-
scegliere per individuare le fonti classiche della filosofia politica di
Vico, quel che si può ragionevolmente sostenere è che egli utilizzi con-
giuntamente i suoi principali riferimenti (Platone, Aristotele, Cicerone
e Tacito) convogliandoli verso una generale visione della politica come
arte del «ben regolare l’uomo nella civile società». Proprio per questo,
allora, Vico respinge la riduzione della politica alle «fisiche meccani-
che di Epicuro come di Renato»
13
e ritiene che essa debba innanzitutto
essere determinazione e ritrovamento dei principi che regolano la
struttura e il funzionamento della comunità. Siamo indubbiamente
dentro un esplicito paradigma della politica delle cose e dei mondi em-
pirici che sappia, però, guardare ai principi di un’etica socievole uni-
versalistica (radicata nella società degli individui di carne ed ossa e non
dunque in entità ideali e astrattamente razionali) e comunitaria.
Il ri-
chiamo testuale che qui immediatamente si può fare è quello alla fa-
mosa V Degnità della
Scienza nuova
del 1744. Qui più che altrove e in
modo del tutto inoppugnabile – se le parole hanno un senso – si af-
ferma la funzione pratica del filosofare: di una pratica, comunque, che
non resta separata, ma si integra nel complesso delle forme del pen-
siero
14
. Come ben sanno i lettori di Vico, vi è in questa affermazione
una chiara intenzionalità polemica verso le posizioni di quelle filosofie
che hanno l’obiettivo del depotenziamento dell’attività sensibile (lo
stoicismo), ma anche verso quelle teorie che, al contrario, considerano
i sensi come la misura dell’agire umano (l’epicureismo). Ma non è tan-
to questo il problema che qui interessa approfondire. Quel che qui
emerge con forza, almeno nella mia interpretazione, è una idea della fi-
losofia umana e civile come necessaria mediazione tra un sistema di
‘principi’ universali (che il cattolico Vico attribuisce al lume della
12
Ibid
.
13
Ivi, p. 15.
14
«La filosofia, per giovar al gener umano, dee sollevar e reggere l’uomo caduto e
debole, non convellergli la natura né abbandonarlo nella sua corrozione» (
Sn44
,
capov. 129, p. 496).
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