ORESTE TRABUCCO
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E poi (dolce Elegia, ah, meco piangi
E fa’ col verso tuo che ’l duro core
Tua vaga melodia lo ammolli e infrangi).
E poi questo dicea, de’ dei l’amore,
Che de’ mortali era novello Nume,
Morte ce ’l toglie? ah, svengo pel dolore!
Ah, me infelice, che non vi ha chi assume
E il suo spirto, il suo dir e ‘l suo sembiante,
E il suo dolce ed amabile costume.
Have un core più duro del diamante
Chi alle lagrime mie, a i miei sospiri
Non unisca le sue, ed incessante.
Ah, che a tanto son giunti i miei martiri,
Che forse voi, Numi tiranni,
Permettete che morte a sé lo tiri!
Per non vedervi un giorno in guai e affanni,
Poiché oscurati voi da sua virtude
Temeste volto il mondo a’ vostri danni;
Poiché temprati fulmini all’incude,
Ministri sempre dell’irato Giove,
Fan ch’alla sua potenza tutto strude,
E che in seno da’ Numi il bene piove
Per opra sua; ma pure Giove stesso
Della lussuria fa l’ultima prova.
Mercurio egli è un ladron, e insieme un messo,
Per far perdere il fiore alle donzelle
E di Venere goder sempre è permesso;
Latona stessa in fra vestali bella
Più non si mira, ond’è ch’al suo fallire
Tremano i faggi, e s’oscuran le stelle.
Se!… Ma che ruminando più ridire,
Se colpa vostra fu, Numi tiranni
Togliermi la mezz’alma al suo morire.
Me lo permette il duolo; di vostri inganni
Ecco disvelo a’ miseri mortali,
Acciò con me rinovino gli affanni.
Questi Dei, non di Ciel, Furie infernali,
(Uop’è ch’io dica) al fine avuto a sdegno
Per li bei preggi, e le virtù morali
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