RECENSIONI
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to,
ex philosophia legislatio
). La dimensione metodologica dell’
hermeneutica
historiae
vichiana ruota attorno al capoverso 351 della
Scienza nuova
, alle
«pruove filologiche» ivi menzionate, ovvero a quei «criteri metodici» (quali,
per esempio, quelli riconducibili alla mitologia, alle «frasi eroiche», alle eti-
mologie, al vocabolario mentale comune, pp. 159-160) che, insieme alle
«pruove filosofiche», cioè alle «condizioni gnoseologiche» (p. 158) preceden-
temente indicate, mediante una «dialettica di ‘reciproca illuminazione’ ed in-
tegrazione» (p. 160), danno conto dei rapporti tra «storia ideal eterna» e «sto-
ria di tutte le nazioni» di cui al capoverso 349 del capolavoro vichiano. Sotto
questo profilo, tra l’altro, Betti coglie la differenza tra la prospettiva herderia-
na della filosofia della storia, che è interessata al significato dei fatti nella loro
individualità ed irripetibilità, e la prospettiva della
Scienza nuova
di Vico, che,
invece, è interessata alla «struttura tipica delle formazioni storiche» (p. 163).
Il quarto e ultimo capitolo («Presenza e funzione del pensiero di Vico nel-
la
Teoria generale della interpretazione
di Betti») è dedicato da Piccini all’indi-
viduazione dei momenti di ispirazione vichiana rintracciabili nella
Teoria ge-
nerale della interpretazione
del 1955 alla luce della già citata conferenza peru-
gina, che, secondo l’A., può fornire «un utile orientamento per rinvenire al-
l’interno dell’intricato territorio della
Teoria generale della interpretazione
le
tracce della presenza di Vico, presenza sempre essenziale e costitutiva, anche
quando non viene chiamato in causa esplicitamente dal giurista» (p. 221). Il
sommario
della
Teoria generale della interpretazione
rivela una ripartizione si-
stematica che rispecchia la distinzione tra dimensione epistemologica e di-
mensione metodologica dell’
hermeneutica historiae
vichiana che Betti ha indi-
viduato nella conferenza perugina del 1957. Dal punto di vista epistemologi-
co, i principi fondamentali di matrice vichiana che si rinvengono nell’opera
del 1955 sono «l’inversione dell’
iter
genetico nell’
iter
ermeneutico fondata
sulla ‘natura simpatetica’ e la constatazione di ‘normalità di sviluppo’ nella
spiritualità umana» (p. 266). Il primo principio si fonda sul fondamentale ca-
poverso 331 della
Scienza nuova
, che rinvia ad una «
soggettività gnoseologica a
tutti comune
» (p. 223), ovvero ad una «comunione fra soggetti che permette
la comprensione» (p. 224), che Betti teorizza rifacendosi anche a Nicolai Har-
tmann (che aveva parlato di
oggettività ideale
) e alla riflessione di Wilhelm
Dilthey e di Wilhelm von Humboldt (sul linguaggio). A tale proposito Betti
parla anche di «
comune umanità
», prendendo spunto da Spinoza e dall’epi-
sodio della «glossolalia» riportato da S. Luca negli
Atti degli Apostoli
(p. 235).
Per ciò che attiene alle «normalità di sviluppo», Betti si appoggia sui capover-
si 311 e 349 della
Scienza nuova
, relativi al senso comune e alla «storia ideal
eterna» su cui si reggono le «storie di tutte le nazioni». Sotto il profilo della
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