RECENSIONI
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Giambattista Vico, «lasciando in ombra tutta l’articolazione problematica
[…] non funzionale alla egemonica tesi del ‘precorrimento’, già respinta dal
Croce» (pp. 2-4). Vale la pena di studiare le
Orationes
per comprendere «il
significato del cartesianesimo graviniano nel suo orientarsi verso interessi civi-
li» (p. 5). L’apertura mentale di Gravina alla modernità lo induce ad assumere
un atteggiamento antiscolastico affine a quello di Celestino Galiani, e a risco-
prire il patrimonio filosofico-scientifico italiano, proibito dalla censura con-
troriformistica, e sviluppato oltralpe al riparo dai fulmini di Roma. Non per
nulla nel
De conversione doctrinarum
parla della intima affinità («philosopho-
rum consensus atque concentus») esistente fra pensatori italiani come Bruno
e Galilei, e pensatori stranieri come Bacone, Gassendi e Cartesio (tutti con-
dannati dalla Santa Sede).
Per essere coerente, la battaglia antiscolastica di
Gravina avrebbe dovuto tradursi nell’adesione all’atomismo, che la Congre-
gazione dell’Indice considerava inconciliabile con il dogma della presenza
reale nella eucaristia. Di qui la cautela di Gravina che, anziché pronunciarsi
nettamente per i filosofi democritei, cui andava la sua segreta ammirazione, si
rifugia nel «neoplatonismo ereditato dall’umanesimo fìlosofico italiano
d’intonazione prevalentemente ficiniana e intrecciato a motivi atomistici e ca-
balistici, pitagorici e gnostici» (p. 13). L’eclettismo è lo scotto che i filosofi ita-
liani del Sei-Settecento hanno dovuto pagare per barcamenarsi fra gli scogli
delle dissennate proibizioni della Chiesa. Comunque esso conciliava gli inte-
ressi storico-letterari e giuridici di Gravina, che vedeva in Omero la figura
emblematica del sapiente legislatore, libero da passioni, e pertanto capace di
indicare al volgo la via della giustizia. Come nota Lomonaco, il pensiero gravi-
niano, fondato sul «nesso tra
vita civile
e
ragion poetica
»,
comporta «un nuovo
criterio di
certezza
»
,
che evita di cadere sia nel «rigorismo giansenistico-
amauldiano», sia nelle «tentazioni del pensiero libertino» (p. 22). Lomonaco
non accetta l’interpretazione in chiave libertina di Michele Rak, che coinvol-
geva non solo Gravina, ma anche Caloprese e Vico. Rimane da vedere se Gra-
vina avrebbe potuto elaborare il suo pensiero senza lo stimolo vitale della cul-
tura eterodossa, che comprendeva anche Malebranche, sebbene i cattolici
moderni non se ne siano ancora resi conto. La strategia della «dissimulazione
onesta» può trarre facilmente in inganno non solo i censori pontifici, ma an-
che gli studiosi della storia delle idee. Va da sé che questo discorso vale anche
per Vico.
Il secondo capitolo, intitolato «Filosofia, diritto naturale e storia nelle
Ori-
gines iuris civilis
» (pp. 53-102), riproduce la ricca introduzione dell’A. alla sua
edizione dell’opera più impegnativa di Gravina (Napoli, Liguori, 2004, pp.
XI
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LXIV
) nella quale riconosce l’influenza di Malebranche, presente anche nel-
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