AVVISATORE BIBLIOGRAFICO
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mento proprio della storiografia idealistica.
D’altra parte, emerge l’influsso del pensie-
ro di Heidegger, di cui Grassi è stato a
lungo allievo diretto. L’A. mette bene in
luce l’operazione complessa di Grassi di
adozione, distacco e riformulazione dei
teoremi heideggeriani, operazione che por-
ta Grassi a ‘salvare’ l’Umanesimo attraver-
so Heidegger, suo principale detrattore.
Già dalla fine degli anni Trenta Grassi ini-
zia a tratteggiare una nuova interpretazio-
ne dell’Umanesimo incentrata su due con-
vergenti interessi, l’espressione poetica e la
vita civile, dunque sulle categorie del poe-
tico e del politico. Questo tema svolgerà
una parte centrale negli anni della succes-
siva rilettura dell’opera vichiana. Se la pre-
minenza della parola, del discorso pateti-
co-retorico e dell’immagine sono aspetti
che da Grassi vengono individuati nella
tradizione dell’Umanesimo italiano, gli
stessi riemergeranno in modo particolar-
mente consapevole nel pensiero di Vico.
Così il filosofo napoletano può essere con-
siderato un punto culminante dell’Umane-
simo, assumendo in questo contesto di ri-
flessioni una centralità nuova e diversa.
[Th. G.]
12. C
RACOLICI
Stefano,
Tre ritratti col-
lerici: Giambattista Vico, Gherardo degli
Angioli, Angela Cimmino
, in «Italian Quar-
terly» XLI (2004) 161-162, pp. 55-68.
Muovendo dalla constatazione che
«alla dinamica umorale è strettamente
connesso il sistema di rappresentazione
psicologica e caratteriale fino a tutto il Set-
tecento» (p. 57), l’A. osserva che, mentre
la storia della malinconia è stata ampia-
mente indagata dagli studiosi, quelle degli
altri temperamenti devono ancora in gran
parte essere scritte, e come «saggio di una
possibile lettura critica dell’ira» (p. 58)
propone un’analisi di tre «ritratti ‘umora-
li’» tracciati da Vico negli anni 1723-1727:
quello di se stesso contenuto nell’
Autobio-
grafia
, quello del giovane Gherardo degli
Angioli nella lettera del 1725 e infine quel-
lo della nobildonna Angela Cimmino.
Quanto al primo, l’A. invita a leggere
alla luce del paradigma medico gli accenni
di Vico al proprio ‘umore’ e alle relative
vicende, e ipotizza che la «natura malin-
conica e acre» con cui il filosofo sarebbe
cresciuto in seguito all’incidente occorso-
gli a sette anni, possa indicare in termini
tecnici «la mutazione dell’originaria com-
plessione malinconico-sanguigna in un più
rude temperamento malinconico-colleri-
co» (p. 60). Quest’ultimo, d’altra parte, si
ritroverebbe sia come un ingrediente del
genio poetico nelle definizioni proposte
da altri autori (Aristotele, Muratori), sia
come un tratto distintivo del ‘periodo e-
roico’ che lo stesso Vico andava svilup-
pando nella stesura della
Scienza nuova
.
Dopo l’uscita della prima edizione del suo
capolavoro e la delusione per l’indifferen-
za con cui fu accolto, attraverso il riferi-
mento alla collera Vico avrebbe marcato
la distanza dai propri tempi sia nel ri-
chiamo – nella lettera a degli Angioli – alla
feroce barbarie dell’età eroica, in cui Dan-
te e Omero potevano liberare la forza del-
la propria fantasia, sia nella descrizione
del temperamento collerico della Cimmi-
no e nell’esaltazione della virtù ‘eroica’
che ha consentito alla donna di domarlo.
[D. A.]
13.
C
RASTA
Francesca Maria,
L’elo-
quenza dei fatti. Filosofia, erudizione e
scienza della natura nel Settecento veneto
,
Napoli, Bibliopolis, 2007, pp. 331.
L’A. rielabora e amplia i suoi studi
sulla cultura filosofica e scientifica vene-
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