DAVIDE ARECCO
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parse – finalmente, pare il caso di dirlo – edizioni apprezzabili, sul pia-
no critico-filologico, delle opere più importanti pubblicate in vita dal
di Sangro
5
. Il problema maggiore, sino a poco tempo fa, era quello co-
stituito da una scarsa e affidabile documentazione, o meglio da una
documentazione scarsamente controllata e sottoposta a severe verifi-
che, riguardo la veridicità testuale delle fonti, a loro volta assai elusive.
Proprio come il ritratto del Principe, sul quale qualcosa, probabilmen-
te, ci sfuggirà sempre. Ad ogni modo, possiamo affermare, in sede di
bilancio, che San Severo sembra tutto sommato essere stato riconse-
gnato alla storia. Ciò che, a mio avviso, ancora attende di venire re-
stituito alla corretta e rigorosa indagine storiografica sono gli interessi
medici del Nostro, la cui considerazione e ricostruzione è stata sovente
offuscata dalla preponderante rilevanza attribuita ad altri aspetti. Co-
me dire che il massone e l’alchimista hanno calamitato – a torto o a ra-
gione, certo in maniera esclusiva – l’attenzione degli studiosi. Non si
vuole qui – tutt’altro – sminuire il rilievo che spetta al Principe nella
storia della Massoneria e in quella, strettamente congiunta ad essa nel
corso dell’evo moderno, dell’alchimia. Credo semplicemente – e cer-
cherò di dimostrarlo – che nel caso del di Sangro l’inclinazione compe-
tente e partecipe per le scienze della vita abbia finito con il costituire
una sorta di terzo anello della catena conoscitiva. Una triade, quindi,
dal Nostro rivissuta religiosamente: Libera Muratoria, pratiche alche-
miche, studi biologici. Nel variopinto microcosmo delle logge, prima
della scomunica, di Sangro trovò (innamorandosene) quell’arte spargi-
rica che rappresentava la ricaduta sul piano pratico dell’ermetismo ro-
sa-crociano (fondamentale nei sistemi latomistici alto-graduali, come il
suo scozzesismo).
Ora, quanto ci dobbiamo domandare è quale fosse l’arte alchemica
del Principe. Questi non era particolarmente avvinto da simboli magici
e fantasie gnostiche. Semmai l’attraeva della grande opera la dimensio-
ne pratico-empirica, quantitativa e ‘razionale’, illuministica come tanti
tratti del suo personaggio
6
. Insomma, detto in altre parole, l’alchimia
5
Si tratta di R.
DI
S
ANGRO
,
Il lume eterno
, a cura di G. C. Lacerenza, Foggia, 1999;
I
D
.,
Lettera apologetica
, a cura di L. Spruit, Napoli-Uppsala, 2002-2003. In preceden-
za, di quest’ultima era disponibile soltanto una versione anastatica (Napoli, 1984).
6
Quelli stessi che lo portarono a citare Toland nella
Lettera apologetica
(Napoli,
Morelli, 1751) e nell’estratto preparatorio
Parole maestre
(Napoli, s.t., 1750). Il rinvio
al grande irlandese tradiva, inoltre, un debito ancora tutto da esaminare con il deismo
della Massoneria anglo-olandese primo-settecentesca. D’altra parte, al pari di molti
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