DAVIDE ARECCO
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stanze originariamente animali e vegetali atte a bruciare senza produr-
re residui di cenere. La seconda, meglio conosciuta ma poco studiata, è
testimoniata da diverse missive inviate dal San Severo ad illustri colle-
ghi (Nollet ed altri, per lo più francesi e tedeschi) e concerne il
Lume
eterno
. Esso sarebbe stato un composto chimico, ottenuto a seguito
della triturazione delle ossa di un teschio, costituito forse da una mi-
scela di fosfato di calcio e di fosforo ad alta concentrazione. La miscela
in questione – rinvenuta a Monaco di Baviera, verso la metà del secolo,
afferma di Sangro – avrebbe avuto la capacità di bruciare molto lenta-
mente e di consumare una quantità realmente irrisoria di materia
combustibile.
È superfluo dire che i particolari tecnici di questa e d’altre inven-
zioni attribuite al Principe finirono inevitabilmente con l’alimentare la
leggenda nera già in vita legata al suo nome. Va anche detto che San
Severo non fece peraltro nulla per screditare tali dicerie o replicare alle
ingiurie le quali circolavano sul suo conto. Anzi, amò ammantare la
propria esistenza di segretezza rinchiuso per giorni e giorni nel suo ga-
binetto delle scienze, dove – tra esperimenti e invenzioni – l’alchimia
di partenza cedeva faticosamente il posto ad una nuova chimica. Le
originali e inusuali attività del Principe – dalla tipografia installata nei
sotterranei del suo Palazzo (foriera di sinistri e inquietanti rumori not-
turni) alla sua militanza nel Rito Scozzese – contribuirono di sicuro a
creargli attorno una fama poco lusinghiera. Come è stato giustamente
osservato, divenne presto una figura centrale nell’immaginario magico
della cultura popolare napoletana. Tra le voci circolanti su di lui, quel-
la oscura circa la metallizzazione dei corpi e l’altra che ottenesse il san-
gue dal nulla, come una sorta di
creatio ex nihilo
tutta e solo profana
14
.
Stregone, ateo, fautore della magia demonica e adoratore del Diavolo.
14
Su questo tema si è concentrato, più di recente, P. A. R
OSSI
,
«Non solo il vero co-
lor del sangue, ma altresì il sapore»
, in «Anthropos & Iatria» II (2007), pp. 20-25: Don
Raimondo, che conosceva l’opera di Boyle, aveva fatto essiccare dei minuscoli animali,
di solito non più lunghi di un millimetro (dei tardigradi, probabilmente, scoperti nel
1773), i quali, se lasciati all’asciutto, si contraggono in una piccola massa informe, ma,
reidratati con precauzione, riassumono la forma primitiva e l’attività consueta. In pra-
tica, se toccati, si sbriciolano come cenere, ma, con l’acqua, rinascono (per anabiosi).
Così come avrebbe fatto in chiave scientifica, non molto più tardi, Lazzaro Spallanza-
ni, con microrganismi infusori di cui avrebbe riscontrato la morte apparente (essicca-
mento) e la resurrezione (riviviscenza), lavorò il Principe. Egli diceva inoltre, con or-
goglio, che il suo nome gentilizio derivasse dai suoi avi merovingi e nello specifico dal
Santo Graal, la coppa che conteneva il Sangue Reale o Sangue di Cristo.
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