DAVIDE ARECCO
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Agli occhi di chi invece studia il Principe, oggigiorno, la
Lettera
si pa-
lesa come il libro dei libri. E l’autobiografia, due secoli dopo Cardano,
torna a farsi mito di sé.
D
AVIDE
A
RECCO
più probabile che di Sangro riflettesse più o meno originalmente paradigmi e stilemi
dell’epoca sua. Tipicamente settecentesco – anzi, caratteristico dell’
ancien régime
– è
l’orgoglio da lui mostrato nel vantare la sua discendenza nobiliare da quei duchi di Bor-
gogna i quali avevo fuso le diverse stirpi carolingia, longobarda e normanna. Appassiona-
to di iconografia, come si evince dal Tempio della pietà, San Severo ebbe care le arti e
protesse tra gli altri scultori e pittori come Queirolo, Corradini, Celebrano, Persico, Car-
lo Amalfi e Francesco Maria Russo. Si devono infatti a loro i bellissimi apparati scultorii
che ornano i sepolcri degli antenati del Principe nella Cappella, perfetta espressione di
una simbologia massonico-templare che assomma elementi di stampo rosa-crociano con
altri dalla sicura provenienza illuministica. E, in effetti, resta davvero difficile negare la
pregnanza dell’aspetto visivo. L’impronta, nel visitatore accorto e non solo, rimane inde-
lebile. Meno conosciuti sono i rimandi all’alessandrinismo e al culto pre-cristiano di
Neapolis. Una tradizione egiziana che può inoltre legittimare contatti col cagliostrismo
del secondo Settecento. Secondo tale tradizione, l’ex-tempio isiaco sul quale era sorta la
Cappella era un ‘luogo di forze’ telluriche, in cui l’apprendista ai Misteri doveva medita-
re per poter trascendere l’elemento ctonio e di conseguenza rinascere in quello urani-
co: una sorta di palingenesi celeste. A questo cammino iniziatico le realizzazioni scien-
tifiche del San Severo – costruzioni geometriche e architettoniche, macchine mera-
vigliose per la esplicitazione di armonie numeriche – facevano da sfondo e da cornice.
Una sorta di terreno preparatorio, sacralizzato dalla scienza.
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