PENSIERO E VITA CIVILE NELLA NAPOLI VICHIANA DI FINE SETTECENTO
101
Se non è facile stabilire per Pagano il momento in cui matura senti-
menti antimonarchici, è, tuttavia, possibile documentare il netto muta-
mento di clima politico a partire dagli inizi degli anni Novanta, dopo la
crisi rivoluzionaria e le vicende che tra il 1789 e il 1791 avevano fatto
della Francia assolutista una monarchia costituzionale. A Napoli, l’editto
del 1789 contro la costituzione di logge massoniche, la soppressione
delle scuole private, la crisi dell’ Università e la minacciata riforma degli
studi sotto l’egida della curia romana annunciavano la fine di un felice e
glorioso passato senza alcuna possibilità di compromesso. Lo Stato e la
Chiesa coalizzati rivelavano interessi e finalità comuni: se il dispotismo
reclamava la morte del
giacobino
ribelle, la tirannide sacerdotale mirava
alla sconsacrazione dell’
idealista
religioso. Scrittori regalisti di ispirazio-
ne filogiansenistica o gallicana, stimati e sostenuti dalla corte borbonica
fino al 1791, venivano scrutati con sospetto, mentre le loro opere cono-
scevano impedimenti e condanne sempre più esplicite
66
. L’accordo del
1791 – anno di pubblicazione del primo volume della seconda edizione
dei
Saggi politici
– tra la Chiesa romana e la corte di Napoli (relativo
soltanto alla questione delle nomine dei vescovi) e la partecipazione
della monarchia, nel 1793, all’alleanza antifrancese delle forze conserva-
trici segnarono la fine di quel rapporto fiduciario tra
princeps
e filosofi-
legislatori, evocato fin dalle pagine del
Politicum
67
.
È emblematica la conclusione teorica del sintetico ma efficace
excursus
storico che le prime pagine dell’
Introduzione
del 1791 deli-
neavano, partendo dall’«acutissimo Macchiavelli», per giungere, attra-
verso il «sensatissimo Michel Montagna», l’«immortale Ugon Grozio»
e Hobbes, il «gran Lok», Montesquieu e Rousseau (
Sp2
, pp. 10, 11),
alla cultura meridionale contemporanea. Di quest’ultima, Pagano
sottolineava il coraggioso vigore critico che, «non ostante la funesta
vicinanza della Corte di Roma» e il dannoso dominio del «più umilian-
te spirito feudale», si era elevato con Genovesi e il «sempre caro, ama-
66
Su questi eventi e, in particolare, sulla creazione di una Giunta dei rei di Stato e
l’allontanamento di Carlo De Marco dalla Segreteria dell’Ecclesiastico, nonché sulla
testimonianza di Domenico Forges Davanzati (circa la decisione di Acton di «mettere i
regalisti sotto una specie di attenta vigilanza» e quella dei «partigiani della corte di
Roma», i veri mandanti degli arresti dei regalisti, accusati di diffondere «opinioni politi-
che contrarie ai principii monarchici») si veda la documentata ricerca di E. C
HIOSI
,
Andrea Serrao. Apologia e crisi del regalismo nel Settecento napoletano
, Napoli, 1981, pp.
321-322; e, per la prospettiva storica i noti e aggiornati lavori di A. M. Rao e P. Villani.
67
Cfr.
Politicum
, parte II, cap. XI (pp. 123-130).