ENRICONUZZO
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compagnare, adeguatamente fondare, una rinnovata storia della filoso-
fia, della cultura; l’impegno in una vastissima serie di ricerche filologi-
camente esemplari; ancora, la ridefinizione, peraltro dinamica, di interi
quadri critici (specie riguardo all’amata età umanistico-rinascimentale,
ma anche all’intera vicenda dell’umanesimo dagli albori umanistici al
secolo XVIII).
Di un tale rinnovamento dell’ispirazione, dello ‘spirito’, della medi-
tazione gariniana diverse furono le implicazioni sul piano della ricerca
storiografica che qui interessa seguire.
Per il nostro discorso probabilmente le meno rilevanti possono es-
sere considerate quelle prodottesi sul piano di una più ‘pura’ riflessio-
ne di metodo. Quella sulla «filosofia come sapere storico» è piuttosto
rilevante come attestazione di una chiara, tematizzata maturazione teo-
rica, in una chiave peculiarmente ‘storicistica’,
di una concezione dei
caratteri, e compiti, ‘plurali’ e ‘storici’ della filosofia. Una concezione,
certo, ora esplicitamente tradotta – e decisamente dichiarata contro le
visioni speculative e sistematiche della storiografia filosofica – in una
precisa veduta metodologica, ma già in effetti in passato sommessa-
mente profilata, e largamente praticata, dallo studioso: quando non
confliggeva con una visione nella quale pure esigenze ‘umanistico-spi-
ritualistiche’ si intrecciavano con la viva attenzione, già di un partico-
lare segno ‘storicistico’, al pluralismo etico e alla determinatezza dei fe-
nomeni storici, lontano dalle tentazioni genealogiche delle grandi sin-
tesi speculative; e comunque si appoggiava sul costume rigoroso della
serietà della ricerca filologica, che non disdegnava anche la probità
della minuta, minuziosa, ricerca erudita.
Più consistente invece l’implicazione, sul piano delle urgenze sto-
riografiche, nell’assunzione del compito di ripensare complessivamente
la storia intellettuale italiana, o almeno larghissimi suoi capitoli. Anche
in questo caso in realtà il tipo di interesse, di compito, non era inedito,
ed in effetti era stato anche implicitamente trasmesso da Gentile al gio-
vane studioso nell’affidargli il secondo volume dell’opera vallardiana.
Più in genere qui si recuperava anche la grande eredità della curvatura
‘pratica’ di tanta parte, specie risorgimentale, della ‘tradizione filoso-
fica italiana’, fatta propria e ‘re-istituita’ dalla recente tradizione neo-
idealistica: e del resto fatta propria, in termini assai misurati, dal ‘gio-
vane Garin’ segnatamente appunto nella storia vallardiana, e non poco
sotto forma di forti accenti ‘desanctisiani’ (e non soltanto sulla cultura
della Controriforma). Ora a rendere sentitamente urgente quel compi-
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