ENRICONUZZO
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culturali e concettuali, etc., in parallelo all’indebolirsi del lavoro sul
‘retroterra’ culturale di Vico tanto attivo negli anni tra la fine dei ’50 e
i ’70
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. Per gli ‘scritti giuridici’ vichiani – e il discorso è da fare in ispe-
cie per il
De constantia
– siamo ancora in una condizione critica non
molto lontana da quella propria di tale stagione (una volta chiaramente
rapportato a quello di una volta lo stato degli studi conseguito adesso).
Siamo cioè in una condizione che ancora esige ricerche determinate,
anche settoriali, sui tanti temi, problemi, materiali, che nel
Diritto uni-
versale
, ed in particolare nel
De constantia
, vengono rielaborati (entro
un autonomo disegno di una vera e propria storia della civiltà), e la pa-
ziente ricostruzione dei cui caratteri, delle cui fonti, delle cui vicende
(interne all’opera e successive), è essenziale per intendere: sia la confi-
gurazione precisa di una fase incredibilmente produttiva del pensiero
vichiano, già essa distinguibile in fasi diverse; sia il passaggio ad ulte-
riori momenti della meditazione vichiana (talora con scarti notevoli,
altre volte con assunzioni di materiali e soluzioni già in sostanza defi-
niti e quindi come tali accolti).
Il discorso investe a questo punto prima che i nodi dei rapporti tra
il
Diritto universale
e le versioni della
Scienza nuova
, già quelli dei rap-
porti tra le sue parti (non dimenticando anche il problema che poneva
Giarrizzo di un ripensamento della loro periodizzazione interna), e del
loro carattere unitario o meno, e segnatamente proprio per quanto
attiene al
De uno
.
In proposito a me pare che non si sia proceduto a sufficienza sulla
strada, pure intrapresa, di una considerazione ‘autonoma’ delle opere
vichiane, e di un giudizio che quindi si liberi di pronunce ‘retroattive’.
La più parte di queste si mostra ancora retto da un criterio valutativo
pronto a individuare non eventuali effettive ‘contraddizioni’ (che sono
in linea di massima presenti in ogni organismo vivo di pensiero), ma
‘confusioni’ (termine assai caro a Croce), ritardi, oscillazioni di troppo:
in fondo a continuare a rimproverare Vico laddove si spingeva di me-
no verso le ‘conquiste’ che ci sono care, magari partecipando piena-
mente di dibattiti ancora diffusi e importanti nel tempo suo. Ma non
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Gli studi di Fabrizio Lomonaco – a cominciare da quelli su Gravina – sono un
esempio della continuità dell’impegno a lavorare sia sulle figure, opere, produzioni e
discussioni culturali, ‘maggiori’ che sulle ‘minori’: impegno che si è molto contenuto
rispetto alla stagione nella quale avvenne la fondazione del Centro degli studi vichiani,
ma il cui valore di metodo non pare esaurito (ed al quale chi scrive si sente di conti-
nuare operosamente ad aderire).
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