DE UNIVERSI JURIS UNO PRINCIPIO ET FINE UNO
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mancano tendenze interpretative, in una certa misura simmetriche, ‘di-
fensive’ dell’opera vichiana, le quali giustamente non accettando una
veduta giustapposta delle sue parti, si dispongono ad attenuare la por-
tata dell’impianto ‘aprioristico’, dimostrativo, che innegabilmente, a
mio parere, ne determina la fisionomia complessiva (in conformità al-
l’intento di dimostrare il circolo di un ordine che in Dio, da Dio,
‘certificato’ nella storia, torna a Dio).
Non passo ad una possibile prolungata esemplificazione della ten-
denza critica a cogliere un’interna scissione dell’ispirazione vichiana
nel
De uno
(o anche nell’intero
Diritto universale
), fino a sue pronunce
estreme, almeno in termini ‘valutativi’; o anche della opposta tendenza
a mettere in forse una «fondazione aprioristica» dell’opera
20
. Da tale
problema mi sembra invece che sia opportuno prendere le mosse per
fare il punto su una più generale situazione e delicata questione meto-
dico-critica, o, in termini diversi, sull’urgenza del compito di tenere as-
20
«Per un verso» il
De uno
«è l’opera più ottusamente dogmatica di Vico, per un
altro essa – forse proprio per la ‘durezza’ ontologica e metafisica del suo impianto –
incrina irrimediabilmente l’ordine circolare del sapere e dell’essere». «Mentre la
Scienza nuova
elaborerà infine un rapporto comprensibile di identità/differenza tra
vero e certo, il
Diritto universale
concepisce questi termini in maniera contraddittoria,
fallisce su questa contraddizione e, per così dire, vive di essa» (S. V
ELOTTI
,
Sapienti e
bestioni. Saggio sull’ignoranza, il sapere e la poesia in Giambattista Vico
, Parma, 1995,
pp. 35, 39). Insomma, se Vico non si spinge fino in fondo in direzione delle sue straor-
dinarie conquiste di tipo ‘storicistico’ (sempre su di uno sfondo di preoccupazioni me-
tafisiche) e partecipa con una sua autonoma posizione al dibattito sullo statuto di eter-
nità del vero e delle correlative idee del vero, è da ritenersi ‘ottuso’. Altre posizioni
sono espresse meno duramente, ma nella sostanza vanno nella direzione di individuare
un regime di totale ‘opposizione’ tra il discorso metafisico sull’‘ordine’ e il discorso
della ricostruzione storico-antropologica. In tal senso da parte di un interprete attento
del pensiero vichiano si è affermato che «la fragilità» del
De uno
«sta nell’inconsisten-
za del suo tentativo di mediazione delle opposte istanze […]. Le premesse filosofiche
si oppongono nel
De Uno
alla ricostruzione storico-antropologica, che invece proprio
qui viene delineata, e poi sarà sostanzialmente mantenuta e precisata nella
Scienza
nuova
» (V
ANZULLI
,
op. cit.
, p. 278).
Il saggio poco su richiamato di Atzeni – che presenta sul
De uno
diversi spunti in-
teressanti (con altri meno persuasivi, ad esempio riguardo una forte continuità del-
l’opera con il primo Vico fin delle
Orazioni
) – mi pare che sul finire tenda ad accom-
pagnare l’indicazione dell’importanza di svariati innovativi momenti tematici rinveni-
bili nello scritto, pertinenti per così dire all’esperienza storica dell’universale, ad una
messa in discussione della «fondazione aprioristica» del discorso condottovi che non
sembra necessaria al riconoscimento della loro (subordinata…) significatività:
(A
TZENI
,
op. cit.
, pp. 256 sgg.).
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