ENRICONUZZO
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sieme, non contraddittoriamente: una considerazione il più possibile
‘autonoma’ di testi aspiranti ad una loro coerenza, dotati di una loro
specifica ispirazione, architettura formale, struttura concettuale, forma
di scrittura, insieme di procedure argomentative; un esame delle scan-
sioni della speculazione vichiana nei termini dei suoi più generali inte-
ressi problematici, teorici, metafisici, epistemologici, etc.; uno studio, as-
sai laborioso, su tematiche più determinate, che ne segua insorgenze,
sviluppi, elementi di continuità o discontinuità, tra loro produttivi incre-
menti o mutamenti e a volte anche prematuro tacitarsi. Può sembrare
un discorso astrattamente metodico o programmatico. Ma chi ha a lun-
go lavorato nella vasta miniera del
Diritto universale
sa quanti risultati e
insegnamenti ha dato seguirne già solo al suo interno temi e materiali
ereditati o nuovi, loro transiti, trasmissioni inerziali o decisivi muta-
menti: spesso apparsi, nell’inesausto lavorio di un pensiero inquieto, nel
febbrile ritornare su di sé nelle
Notae
e
Dissertationes
rimettendo mano
all’edificio appena completato, anche con ‘intuizioni decisive’ (con tutti i
problemi filologici implicati, e la conferma dell’assoluta opportunità di
disporre di strumenti quali quello che si viene presentando)
21
.
Il seguire i più o meno lunghi e accidentati percorsi di problemi, te-
mi, idee, ‘segmenti di discorso’, anche materiali ‘slogati’ più o meno
ricomposti, non impedisce di ricercare l’identità specifica e la coerenza
voluta di singoli scritti. Perché non provare a seguire quella che specifi-
camente Vico ricercò nel
De uno
quando la pressione della scelta del
21
Così, per fare un solo esempio a proposito del tema del linguaggio, di essenziali
implicazioni in tutto il resto della speculazione di Vico, da uno studioso assai esperto è
stato affermato (entro un complesso di tesi sul cui merito ovviamente non entro qui)
che fu nel 1722 che egli, «ritornando sulla sua opera da poco pubblicata, in un
continuo processo di approfondimento», ebbe «l’intuizione decisiva: la lingua divina
degli auspici era anche stata la prima lingua che gli uomini avevano usato». Ecco «il
principio che di lì a pochi anni lo avrebbe convinto a riscrivere da capo a fondo, e non
per una sola volta, la sua opera» (G. C
ANTELLI
,
Dalla lingua eroica del ‘Diritto Univer-
sale’ alla lingua divina della ‘Scienza nuova’
, in
Giambattista Vico nel suo tempo e nel
nostro
, a cura di M. Agrimi, Napoli, 1999, p. 331). Già solamente dalle ultime ricerche
da me condotte su momenti della storia delle nazioni configurata nel
Diritto universale
(relativamente a loro trasmigrazioni marittime nell’area del Mediterraneo, a Sciti,
Cinesi, etc.) potrei stilare una fenomenologia di linee di interessi, temi, materiali, che
(anche venendo dagli scritti del ‘primo Vico’) più o meno fuoriescono poi da testi del
Diritto universale
per svilupparsi, mutare o transitare a tutte le
Scienze nuove
, o fer-
marsi alla prima versione: con ciò non mettendo in discussione, ma contribuendo a
identificare la singola fisionomia dei testi.
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