DE UNIVERSI JURIS UNO PRINCIPIO ET FINE UNO
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nuova
seconda sta l’aver tentato l’impossibile impresa di modernizzare
– insieme alla grafia delle parole – anche la fitta rete dell’interpunzio-
ne, intessuta da Vico a servizio di uno stile, di un’espressività che si
voleva sì matematizzante, ma anche incisiva e piena di nerbo, spesso
sublime. Di fronte a questi intrecci che le opere vichiane sia italiane sia
latine ci presentano – di stilemi, abitudini scrittorie, situazioni testuali
– mi sembra ovvio che, per quanto un’edizione critica modernamente
intesa possa recepire il testo originario nella sua integrità, non sempre
e non tutto il paratesto è suscettibile di esservi trascritto agevolmente.
Peraltro, come la traduzione che affianca il testo critico offre al lettore
anche una forma di controllo su ciò che il curatore ha letto e inteso,
così una ristampa anastatica permette di verificare direttamente il ma-
teriale di base che è passato attraverso il vaglio critico.
Sullo sfondo delle questioni che stiamo evocando sta il grande te-
ma della mobilità del pensiero vichiano e della sofferta riflessione che
portò il filosofo alle sue scoperte più importanti, nel corso di un lungo
e difficile processo di distacco dal razionalismo della cultura francese,
‘oltramontana’, che come sappiamo aveva messo a Napoli radici più
che robuste. Vico stesso ha sottolineato più volte la persistente conti-
nuità del suo percorso filosofico, ma insieme – a ogni nuova tappa
cruciale – ha condannato gli scritti precedenti come lavoro imperfetto e
talora decisamente sbagliato. Un autore può certo permettersi questi
vezzi, se non altro – se è lecita una battuta – per vendere i nuovi libri che
scrive. Meno comprensibile è che i lettori avvertiti propendano a dargli
pieno credito, come prevalentemente è accaduto nelle interpretazioni
idealistiche del pensiero di Vico, tutte incentrate sui momenti conclusivi
e maturi, a discapito di quelli iniziali o intermedi che pure presentano
un autonomo interesse, e gettano luce fondamentale sugli ulteriori esiti
filosofici. Non a caso Fausto Nicolini ha contato ben otto o nove reda-
zioni della
Scienza nuova
, mettendo insieme anche scritti di imposta-
zione e lingua difformi, e non a caso si è speso egli stesso in particolare
sulla
Scienza nuova
seconda, quella definitiva. Accanto a un’immagine
della filosofia vichiana più compiuta e statica del necessario, cioè a so-
stegno di un Vico quasi ridotto a sistema, nel Novecento si è affermata
tutta una mitologia sul Vico ‘oscuro’, farraginoso e infelice nello scrive-
re, sempre incontentabile nella ricerca della migliore espressione del suo
pensiero, una mitologia ancora in parte corrente, che rischia di ridurre
alla mera dimensione estetica autentici problemi filosofici. Prendiamo
un concetto-chiave come quello di ‘natura umana’, importante per la
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