MARCO VENEZIANI
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che con una consolidata tradizione di studi e di pensiero negli ambiti
paralleli della poetica, della retorica e della linguistica.
Di conseguenza, il sintagma «metafisica poetica» compare solo nel-
l’opera del ’30, la cosiddetta
Scienza nuova
seconda, in una versione
del capitolo imperfetta, che reca traccia di vecchie indecisioni. Convie-
ne soffermarsi sui punti salienti del ragionamento che Vico sta svilup-
pando intorno a questo concetto. Ogni sapere umano – egli dice in
primo luogo – deve cominciare dalla metafisica «siccome quella, che
va a prendere le sue pruove, non già da fuori, ma da
dentro le modifi-
cazioni della propia mente
di chi la medita». Quello metafisico è dun-
que un pensiero capace di porsi «in conato» e di sovvenire l’uomo in
qualunque circostanza di tempo e di luogo; è autocoscienza irriducibil-
mente umana, ciò che non abbiamo in comune con le bestie. Di conse-
guenza, una reazione istintiva di paura – per esempio – va considerata
negli uomini qualcosa di radicalmente diverso dall’analogo istinto be-
stiale, e solo in virtù di questo fondamentale salto ontologico nella
continuità della creazione divina le feroci passioni dei selvaggi abbru-
titi potranno imboccare – a differenza del destino assegnato alle belve
– la via dell’incivilimento.
Non è difficile mettere in rapporto questa particolare concezione
della metafisica con il motto ‘Conosci te stesso’, così presente nelle
giovanili
Orazioni inaugurali
e sempre caro a Vico, nonché con l’oc-
chio interiore della tradizione neoplatonica e agostiniana, di recente in
terra di Francia rinnovata in più modi, capace di attingere per via d’in-
trospezione le strutture della nostra mente. Questo sguardo ‘ad intra’
non può non avere in dote il crisma dell’autenticità e di una verità sua
peculiare, che del resto sono tratti ancora riconoscibili nel ‘cogito ergo
sum’ cartesiano, isola di certezza dopo il dubbio iperbolico. Sappiamo
che Vico ritenne il ‘cogito’ rilevante per la nostra coscienza – come se-
gno del divino, dell’infinito, dell’indeterminato che è in noi – ma non
tale da potervi fondar sopra una scienza vera e propria, perché altri-
menti l’uomo sarebbe un ‘factum’ dell’uomo. Nel corso del tempo egli
cercò ripetutamente delle valide alternative. Infatti, con la nozione di
«metafisica poetica» siamo di fronte alla metamorfosi conclusiva di
quella «vis veri» postulata nel 1720 proprio nelle pagine del
De uno
,
anch’essa una tensione creatrice connaturata in ciascuno di noi, che
nel suo dispiegarsi traduce in atto il disegno provvidenziale di porre in
essere le nazioni. Il concetto di «vis veri» ambisce a riassumere tutte le
altre definizioni dell’umano che Vico ha disseminato nel
Diritto univer-
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