RECENSIONI
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tano le filosofie dell’Illuminismo, partendo dalla definizione di Lessing della
verità
come perenne conquista (p. 106), scoperta rinnovata del
fare
di un uomo
nuovo, consapevole della specificità del mondo storico in cui vive. Matura un
nuovo atteggiamento storiografico (Voltaire) che pone al centro l’interesse per
quel processo storico di umanizzazione e di convivenza civile (Rousseau) che
presuppone la pluralità delle azioni, il riconoscimento della relazione con il
divino attraverso l’umanissima esperienza della
pietas
. Qui interviene, in par-
ticolare, la radice pietistica della cultura tedesca, da Kant e la sua teoria della
conoscenza (con l’attribuzione della specifica modalità del
fare
a condizione
del
conoscere
) a Jacobi, teso a «mettere in luce un’ascendenza vichiana nella
filosofia di Kant, in quanto […] l’oggetto può essere concepito solo se trasfor-
mato in un contenuto di pensiero, solo se prodotto nell’intelletto» (p. 111). E
dal filosofo di Königsberg il discorso tende a svilupparsi in un più articolato
percorso che vede l’«assioma» della convertibilità tradursi nelle ‘dimensioni’
dello storicismo, quelle di matrice idealistica (il «fare del concetto» in Hegel,
pp. 116-120) e di segno marxiano (con la centralità della
praxis
umana e il tema
delle «forze produttive», p. 123) fino alla variante positivistica con l’analisi (po-
sitiva) dei fatti interpretati mediante il «conoscere facendo» di Buckle e Mill.
Diversamente orientato dalla posizione di Comte, tesa alla formazione delle leg-
gi in quanto espressioni di relazioni, il pensiero milliano è al centro delle rifles-
sioni di Villari e Gabelli (p. 128) all’interno di una cultura europea che vive la
crisi di fine secolo nel concetto di «verità del pragmatismo» americano (di Ja-
mes, Peirce e Dewey) dentro una logica del linguaggio, fondata su due funzioni
rigorosamente distinte, quella significativa e l’altra denotativa (p. 131).
Ai temi dell’azione e dell’accadimento, alle esigenze di una «critica della
ragione storica» si riferiscono i problemi inerenti al «fare la verità nella storia»
di Dilthey e della sua analisi che ha per protagonisti le oggettivazioni e i suoi
soggetti produttori in una prospettiva che sa coniugare l’eredità vichiana con i
motivi del kantismo alla luce dell’intima connessione tra la storia e la vita (p.
137). In proposito Martirano offre utili e sintetiche considerazioni, tese a ri-
chiamare anche tutte le novità rispetto al neokantismo nella definizione
dell’«intenzionalità» della coscienza in Husserl (con la tendenza a cogliere il
dato oggettivo, il
factum
, nella sua purezza ed evidenza, p. 140) e nella consa-
pevolezza postkantiana della riduzione del mondo a «immagine» dove è la
tecnica moderna a realizzare il «capovolgimento della soggettività» (p. 142).
Accanto ai processi di «elaborazione materiale» della cultura si affermano, nel
primo Novecento, i temi della storicità e del linguaggio che Martirano, fedele
al suo orientamento critico e storiografico, collega ai contenuti di «un mondo
simbolico e culturale» (p. 143). Qui agisce un’interpretazione di Kant in
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