ENRICONUZZO
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Vico dunque, secondo Garin, «s’era reso ben conto del gran merito di
Cartesio d’aver voluto far convergere i risultati della filosofia rinascimen-
tale dell’uomo con la scienza di Galileo»
19
.Tuttavia aveva dovuto opporsi
energicamente al meccanicismo al quale «aveva finito» con l’approdare
Cartesio quando aveva schiacciato «sulla trama logica tutto l’esistente»,
quando «il fascino della chiarezza aveva preso il sopravvento»
20
.
In questa operazione qualcosa d’estremamente importante tuttavia
si era perso. Con sottile argomentazione esegetica, Garin osservava che
Vico nel seguire, affascinato, «l’immagine cartesiana della fisica», vista-
la poi impossibile, aveva abbandonato il lascito rinascimentale della vi-
sione di una «parentela» con una natura della quale l’uomo fosse «at-
tore»
; 21
; ma con ciò aveva messo da parte anche «l’istanza di Cartesio»
nel suo discorso sulla mente eroica del 1732 […]. Né tanto ha da dirsi cartesiano per
aver Cartesio rotto il suo sonno dommatico, quanto perché tutta la sua profondissima
polemica anticartesiana fu condotta nella consapevolezza chiara della validità del
pensiero discusso» (ivi, p. 400). Non ci si può soffermare qui a rilevare ed esporre an-
tecedenti di un tale giudizio, e ancor più di un generale abito argomentativo dialettico.
In diversi luoghi – per recare solo un esempio – Croce, pur insistendo sul totale
rovesciamento effettuato da Vico di punti nodali della filosofia cartesiana, come della
valutazione del valore delle scienze praticata da Descartes, aveva additato come con
sicurezza quegli andasse «diritto al cuore» delle questioni (cfr. B. C
ROCE
,
La filosofia
di G.B. Vico
, Bari, 1980
6
, p. 12). Piuttosto diversa la posizione di Gentile, che ad
esempio in una pagina imputava al filosofo napoletano di non avere colto che «l’intui-
zione fondamentale cartesiana (metafisica) è direttamente opposta alla platonica e
neoplatonica», in quanto la prima è affisa al problema della verità, la seconda a quello
della certezza (G. G
ENTILE
,
La prima fase della filosofia vichiana
, scritto del 1912 poi
raccolto in
Studi vichiani. Seconda edizione riveduta e accresciuta
, Firenze, 1927, p. 40).
19
Con una movenza interpretativa che parrebbe discosta dall’interpretazione di
Galileo sulla quale insisterà (e sulla quale si verrà) come dell’autore della piena fiducia
nella corrispondenza della mente umana al grande libro della natura, qui Garin
aggiunge che al contrario «Galileo, nonostante la sua fiducia nella matematica, aveva
sempre sentito la divergenza fra la realtà e la sua trascrizione quantitativa» (
Cartesio e
l’Italia
, cit., p. 401).
20
Ivi, p. 402. «Vico, invece, colse in pieno il rapporto fra la ricchezza dell’
atto
creativo
, che è quello che solo ci fa persone e ci immette nella vita dello spirito, e il
momento della distinzione, della definizione, della limitazione». Allo stesso tempo «gli
sembrò che la scienza nuova come metafisica della mente umana rispondesse al più
profondo bisogno di Cartesio, ch’era quello di
trovare nell’interiorità il centro della
vita spirituale
, senza entrare tuttavia in conflitto con la scienza sperimentale» (
ibid.
; il
corsivo è mio).
21
«Affascinato dall’immagine cartesiana della fisica, e vistala cadere, Vico […] si
lascia sfuggire la portata di quella scienza-potenza che converte l’obbedienza in azione,
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