AVVISATORE BIBLIOGRAFICO
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dereranno come ineludibile nella moder-
na società capitalista, caratterizzata dal-
l’antitesi capitale-lavoro, borghesia-pro-
letariato. L’A. sottolinea infine l’ascen-
denza vichiana della concezione poli-
centrica di Labriola dei processi di civi-
lizzazione, che si intreccia con una nozio-
ne non dogmatica bensì regolatrice del-
l’idea di progresso; tematiche queste ulti-
me, aggiungiamo, ulteriormente filtrate
alla luce della lezione di Romagnosi e
della sua scuola.
[R. M.]
2. C
ERCHIAI
Geri,
Il
cogito
di Sosia e
la coscienza di Vico. La nozione di
con-
scientia
nel
De antiquissima italorum sa-
pientia, in «Rivista di Storia della Filoso-
fia» LXIII (2008) 2, pp. 243-265.
Questo saggio, molto documentato e
ben scritto, può considerarsi non soltan-
to una stimolante riflessione sul
De anti-
quissima
, ma anche – e soprattutto – un
capitolo significativo del grande, ideale
libro collettaneo dedicato ai rapporti fra
Cartesio e Vico, che diversi studiosi nel
corso del tempo hanno scritto e vanno
scrivendo e postillando di continuo.
L’A. parte dalla riduzione vichiana
del
cogito
da scienza a mera coscienza, il
che trasforma il punto archimedeo ritro-
vato da Cartesio non soltanto in una
«volgare cognizione» (
De ant
., cit. a p.
244), che tutti gli uomini – persino Sosia,
il servo di Anfitrione nell’omonima com-
media plautina – possono agevolmente
acquisire, ma anche in un «indubitato
segno dell’essere» (p. 257). Ne consegue,
perciò, che proprio quel sapere di sé che
è nell’assoluta vicinanza del soggetto, gli
si rivela poi, alla luce dell’assunto vichia-
no del
verum-factum
, intraducibile in una
qualsiasi forma di conoscenza, dal mo-
mento che egli non ‘si fa’, ma ‘è fatto’ da
altro.
Mentre manda in fumo le pretese
fondative del
cogito
, la lama tagliente del
filosofo napoletano penetra ancor più
nelle carni vive del sistema cartesiano,
tranciandone impietosamente il criterio
di verità, fondato – com’è noto – sul
principio della chiarezza e della distinzi-
one: caratteri che, quando posseduti da
una nostra idea, ne fanno – secondo Vico
– l’esito ultimo di un «processo di deter-
minazione» che isola, «circoscrive e de-
limita l’oggetto conoscitivo rispetto ai
suoi possibili rapporti» (p. 246). Non
segnalando adeguatamente questa diffe-
renza e questo limite del conoscere uma-
no in rapporto a quello di Dio, che inve-
ce apprende «insieme alla cosa che vede»
anche «tutte le infinite altre» (
De ant
.,
cit. a p. 246), Cartesio – come mette in
luce l’A., seguendo e commentando Vico
– non riesce a individuare il
proprium
della conoscenza umana – vichianamente
il
cogitare
–, che può definirsi e compren-
dersi solo per distinzione e contrapposi-
zione rispetto a quella divina – l’
intelli-
gere
, appunto –, e manca di riproporre
sul piano gnoseologico – aggiungiamo
noi – quella distinzione/contrapposizione
rispetto alla divinità suggellata sul piano
ontologico in un passaggio della
Terza
meditazione
, dove si legge: «la percezione
dell’infinito precede in qualche modo
quella del finito, vale a dire la percezione
di Dio quella di me stesso» (R.
D
ES-
CARTES
,
Meditazioni metafisiche
, a cura
di S. Landucci, Roma-Bari, 2006
6
, p. 75).
Ma un altro punto cruciale – fra i
tanti, messi a fuoco nel saggio, che qui
non riusciamo nemmeno a toccare di
sfuggita – va qui segnalato e concerne il
problema, sollevato da Cartesio, del rap-
porto fra
res cogitans
e
res extensa
. La
soluzione proposta da Vico, e tesa ad
affermare l’integrità dell’essere umano, è
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