AVVISATORE BIBLIOGRAFICO
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tutta fondata nella sua distinzione fra
cogitare
e
intelligere
. Infatti, scrive l’A.: «i
corpi non possiedono alcuna possibilità
di
cogitatio
; ad una pura mente, per con-
verso, apparterrebbe quell’
intelligere
che
definisce il sapere di un essere infinito.
L’uomo, dunque, può dire ‘
cogito
’ per-
ché è composto di mente e corpo» (pp.
255-256).
[R. D.]
3.
C
ERCHIAI
Geri,
Benedetto Croce.
Percorsi vichiani
, in «Magazzino di filo-
sofia» 2006, pp. 62-81.
In questo saggio l’A. ricostruisce con
dovizia di particolari la ricezione del vo-
lume crociano su Vico del 1911 (
La filo-
sofia di Giambattista Vico
) prevalente-
mente in ambito neotomista e cattolico.
Già rispondendo tempestivamente
alle obiezioni che da un diverso punto di
vista e dalle colonne de «La Stampa» del
10 aprile 1911 e de «Il Mattino» del 13
aprile dello stesso anno muoveva al libro
Giuseppe A. Borgese, Croce – spiega
articolatamente l’A. –, aveva modo di
ribadire, in perfetta coerenza con gli as-
sunti del suo pensiero, che una monogra-
fia di storia della filosofia doveva obbedi-
re a due leggi fondamentali: 1) esaminare
la produzione filosofica di un autore
sganciandola dal nesso con la sua perso-
nalità; 2) «superare il pensiero che si stu-
dia con un pensiero che ne sia la critica»
(C
ROCE
, cit. a p. 64); questo significava
che, per interpretare Vico «nella sua
schietta realtà» (ivi, cit. a p. 66), Croce
doveva leggerlo attraverso la lente della
sua Filosofia dello Spirito.
Nella prospettiva di Croce, la prima
delle due dichiarazioni di metodo gli
consentiva di vedere «nel cattolico auto-
re della
Scienza nuova
il non cattolico
filosofo e storico» (ivi, cit. a p. 75). A
questa tesi crociana, nel 1926 e in campo
neotomista, replicava Agostino Gemelli,
affermando «l’unità di vita e pensiero di
Giambattista Vico», entrambe «ortodos-
se e cattoliche» (G
EMELLI
, cit. a p. 71) e
riconducibili alla «tradizione platonico-
cristiana» (ivi, cit. a p. 73). Nel 1936 –
come mostra l’A. – Croce stigmatizzò
questo tentativo di clericalizzare la rifles-
sione filosofica vichiana, che nascondeva,
a suo parere, l’intento «nazionalistico
della Chiesa» di restituire il «volto italia-
no» di Vico, «sgombro dell’‘imbarbari-
mento’ e della ‘nordizzazione’ che avrebbe
sofferto per la violenza» esercitata dalla
sua interpretazione.
La seconda di quelle petizioni di prin-
cipio doveva – nelle intenzioni di Croce –
mettere al riparo il suo lavoro vichiano
dalle accuse – che oggi non potremmo
non considerare fondate – di quanti, come
l’‘eretico’ Buonaiuti, gli obiettavano che
studiare «un pensatore mediante sistemi
venuti dopo di lui, invece di rintracciarne i
legami spirituali con la tradizione che lo
ha preceduto, significa cadere in un vero
anacronismo di esegesi filosofica» (B
UO-
NAIUTI
, cit. a p. 65).
Il saggio, dopo aver dato conto delle
posizioni di altri studiosi cattolici e neoto-
misti – Domenico Lanna, Emilio Chioc-
chetti, Silvio Vismara, Antonio Corsano –,
si chiude con un’esortazione ‘laica’ di Nico-
la Abbagnano, che nel 1953 saggiamente
consigliava: «prima di fare di Vico un quasi
hegeliano, un quasi comtiano o un semi
tomista, cerchiamo di […] intenderlo nella
cultura e nel movimento di pensiero del
suo tempo» (A
BBAGNANO
, cit a p. 80).
[R. D.]
4.
C
ERCHIAI
Geri, recensione a G.
V
ICO
,
La discoverta del vero Omero seguita
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