ENRICONUZZO
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complessa, tanto di Descartes che di Vico (e nel complesso in certa mi-
sura più positiva verso Descartes che, come di consueto, verso Vico).
Ma ciò si spiega bene se quell’atteggiamento lo si riconduce appunto
alla sua cifra più comprensiva, quella che ho chiamato del ‘trasporto
verso la totalità’. Se il pensiero rinascimentale ha perseguito incessante-
mente (almeno nella sua ‘anima neoplatonica’) il compito di tenere inte-
gralmente, armonicamente, insieme uomo, Dio, natura, ebbene,
Cartesio, il Cartesio totalmente umanistico qui disegnato da Garin, non
smentisce, ma accoglie, almeno inizialmente, tale eredità nel segno fon-
dativo di una metafisica totalizzante (che in una certa misura sanerebbe,
o conterrebbe, lo scarto posto tra ‘res cogitans’ e ‘res extensa’).
A mio parere tale complessivo atteggiamento (antiscientistico forse
perché nel suo fondo attraversato da una vena ‘totalistica’, nel senso
che teme la scissione, la disconnessione) risulta fondamentale per in-
tendere la pur dinamica posizione filosofica di Garin, non facile da
portare in primo piano dato il carattere ‘sommesso’ del suo stile di
pensiero. È stato con finezza osservato che si tratta di «un pensiero che
ha scelto di sperimentare la propria consistenza rispecchiandosi nella
filigrana del pensiero altrui […] Il compito d’un interprete di secondo
grado […] è reso dunque arduo dall’atteggiamento esplicitamentre de-
scrittivo, sottilmente mimetico che il discorso e l’esegesi gariniana di
preferenza assumono»
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.
Ebbene, in questo momento dell’intensissima, straordinaria, attività
di indagine di Garin, può essere probabilmente saggiata favorevolmen-
te una cifra segreta della sua meditazione, se essa corrisponde a quanto
si è ipotizzato. Vale a dire l’esigenza di ‘connessione’, il bisogno o la
nostalgia di ‘integrità’: certamente, primariamente, entro l’uomo e tra
gli uomini (secondo la curvatura ‘intersoggettiva’ dell’integrità forte-
mente cresciuta e tematizzata di lì a qualche anno attraverso Gramsci);
ma pure – almeno secondo un’esigenza mirabilmente espressa nel-
l’umanesimo rinascimentale – tra l’uomo e la natura (onde la carenza
di una qualche valutazione positiva della caduta del cosmo con la
scienza moderna, almeno come luogo teorico liberatorio di una nuova
non rassicurata ‘umanologia’); in ultimo – se non altro ancora nei modi
della stagione umanistica – tra l’uomo e Dio. È ipotesi da avanzare con
la massima cautela: ma forse l’assoluto disincanto dell’‘ultimo Garin’
ha in sé pure l’occulta nostalgia negata di un umanesimo integrale
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D
ELLA
T
ERZA
,
op. cit
., p. 220.
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