AVVISATORE BIBLIOGRAFICO
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toccano motivi ricorrenti nella storia del-
la sua fortuna: in primo luogo quello del-
la distruzione della documentazione rela-
tiva alla progettata edizione delle opere e
l’altro della perdita di testi rari, descritta
con riferimenti differenti, al punto da far
emergere non pochi dubbi sull’autenti-
cità del fatto. In un caso a perdersi è il
De aequilibrio corporis animantis
(elogia-
to da Cuoco che lo avvicina al «sistema
di Brown», p. 347), in altri il
De antiquis-
sima
, a Napoli vittima di un saccheggio, a
Milano di un furto (p. 351); in altri casi
finanche la
Scienza nuova
, in una lettera
considerata persa a Milano per un sac-
cheggio subito dal Cuoco, in un altro
documento perduta per la morte di un
amico che l’aveva ricevuta in prestito.
Naturalmente gli aspetti rilevanti delle
lettere a Degerando stanno nei contenuti
di quell’emergente interpretazione fon-
data sul principio del «vero […] ideale»
(p. 349), saggiata alla luce del «Vico co-
me metafisico» (p. 348), autore delle tre
opere fondamentali: il
De antiquissima
, il
Diritto universale
e la
Scienza nuova
(p.
349) che il Cuoco esamina e commenta.
Egli privilegia la prima e la centralità del
nesso tra pensieri e parole (p. 350), ri-
cordando le testimonianze della
Vita
che
invita l’interprete a riproporre la questio-
ne del mancato isolamento del filosofo
nel suo tempo, per riconoscere, infine,
che «la posterità è stata ingiusta con Vi-
co» (p. 353), se si escludono gli interven-
ti di Leclerc, La Court de Gobelin e
Chastellux (pp. 354-355). Al centro del
terzo ed ultimo ‘abbozzo’ di lettera è la
nota questione dell’‘oscurità’ della
Scien-
za nuova
di cui Cuoco ricostruisce la sto-
ria esterna della fortuna, ricordando le
relazioni con Doria e Conti (pp. 356-
357). Né mancano originali ipotesi inter-
pretative che si esercitano sui principi
della filosofia e della critica vichiane sul
«vero eterno» (p. 359) e sul nesso tra le
azioni, garantito dalle idee in quanto
«idee degli uomini» (p. 360); principi
applicati alla storia costitutivamente mes-
sa in relazione con il pensare, il volere e il
fare, mostrando l’intima relazione di sto-
ria e filosofia: «Io vi parlerò di Vico so-
lamente come storico della filosofia e fi-
losofo speculativo. Ma queste due qualità
sono tanto strettamente unite in lui, che
si può dire in lui esser la storia conse-
guenza della filosofia e la filosofia conse-
guenza della storia» (p. 359). Anche per
la
Scienza nuova
ritorna la descrizione
degli episodi che hanno visto la perdita o
il furto subito dall’amico morto cui era
stata prestata (p. 361); un’opera, in fon-
do, da riscrivere per farle perdere il ca-
rattere di astrusità, rendendola, così,
«popolare», «facile» e «dilettevole» (pp.
348, 355), in coerenza con quel senso
dell’‘utilità’ della storia che non è sua ri-
duzione a fatto o a momento materiale,
ma indice di esplorazione del fatto stori-
co in azione, per dirla proprio con il pen-
satore molisano. Egli resta, in fondo,
consapevole che «è un male che le idee
di Vico sieno state lasciate in abbandono
e non sieno state coltivate che da me.
[…] Io sono stato costretto di dare al
mio libro una forma tale che alla storia
filosofica dovea unir la politica, e dovea
sopra tutto evitar tutte le discussioni e le
dissertazioni. Non ho potuto far altro
che accennare le cose. Mi riserbo però di
dimostrarle nelle appendici, e forse allora
convincerò che tutto ciò che noi credia-
mo sapere sulla storia della filosofia degli
antichi non è che un sogno, e che la sto-
ria intera deve farsi. Dalla storia della
filosofia Vico passò ad applicare i suoi
principi alla giurisprudenza […]. Final-
mente l’applicò a tutte le parti della so-
cietà e ne nacque la sua
Scienza nuova
.
Riunì in essa ambedue le parti della sua
filosofia, la critica de’ fatti e la scienza de’
possibili; talché, mentre con questa se-
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