AVVISATORE BIBLIOGRAFICO
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gnò l’orbita che tutt’i popoli debbono
scorrere, con quella rettificò la storia che
han corsa […]» (pp. 361-362).
[F. L.]
7.
D
IANA
Rosario,
La filosofia dia-
logica di Giambattista Vico. A proposito
di una nuova edizione del
De antiquis-
sima italorum sapientia, in «Cultura &
società» I (2007) 1, pp. 184-194.
Prendendo spunto dalla recente rie-
dizione, con testo latino a fronte, del
De
antiquissima
(a cura di M. Sanna, Roma,
Edizioni di Storia e Letteratura, 2005),
l’A. sottolinea la valenza relazionale pre-
sente nell’opera vichiana del 1710.
Questo tratto si evince già nel metodo
impiegato da Vico, in quanto il ricorso
alla lingua latina per estrarre il sapere
filosofico di un antico passato ha la pre-
cisa funzione di rispondere a «un’ im-
pellenza da cui è mossa la teoresi vichia-
na, che non può e non vuole mai assu-
mere la forma di una riflessione elabora-
ta in solitudine» (p. 187). La temuta
alternativa vichiana di essere ‘o un dio o
uno stolto’ in quanto unico presuntuoso
detentore del sapere (con evidente rife-
rimento a Cartesio) è un grande eserci-
zio di umiltà. È per questo, come dice
Diana, che «nel
Liber metaphisicus
ci
troviamo dinanzi ad una riflessione filo-
sofica che nasce e si viene svolgendo in
un dialogo articolato con il passato» che
viene a coniugare in un perfetto equili-
brio storia e filosofia, «in quanto l’inda-
gine storica è nel contempo edificazione
dialogante di un sapere filosofico e la fi-
losofia, refrattaria alle solitarie medita-
zioni, elabora i propri concetti modu-
landosi in comprensione storica dell’an-
tico» (p. 187). In questo senso, il filoso-
fare «non è mai una pura riflessione
egologica» (p. 188) alla maniera di Car-
tesio, bensì «un ragionare che nel suo
stesso originarsi ed articolarsi è già
sempre in discussione con l’
altro
»
(
ibid.
).
Questo fondamentale elemento rela-
zionale viene sottolineato anche quando
il discorso si centra sulla contrapposizio-
ne gnoseologico-metafisica fra Dio e uo-
mo, al primo spettando il ‘conoscere
apertamente’, in quanto possiede il gene-
re con il quale una cosa viene ad essere, e
al secondo il ‘raccogliere’ gli elementi
esteriori, distinguendo cioè la coscienza
dalla scienza. Ebbene, in questo momen-
to per Vico è il conoscere matematico a
poter corrispondere, nel canone del
ve-
rum-factum
, al conoscere di Dio. Ma an-
che in questo caso, «la
fattività
, modo
d’essere con cui l’oggetto si consegna al
sapere matematico che lo costruisce, ri-
manda immediatamente all’uomo in ge-
nerale come sua ragione sufficiente: an-
che però ai singoli uomini che di volta in
volta hanno
fatto
i contenuti di quel sa-
pere» (p. 193); in questo senso, «nel con-
cetto del
factum
non può non trovare
ospitalità l’attenzione per la storia della
disciplina, per quanto è accaduto, per
‘quel che si è fatto e si fa’ nella comunità
dei matematici e che si deve ‘rifare ideal-
mente’» (
ibid.
). Quel patrimonio acquisi-
to «con cui ogni nuovo matematico deve
confrontarsi per potersi impadronire di
un linguaggio, di un metodo» (p. 194),
rappresenta il
factum
come accadimento
storico emergente dalle relazioni, ponen-
do le premesse per l’oggettivazione
co-
nosciuto-fatto
che Vico elaborerà diversi
anni dopo, riconfermando, su un altro
piano, «l’orizzonte entro il quale è possi-
bile quel confronto intersoggettivo che
solo consente l’acquisizione e l’elabora-
zione del sapere» (
ibid.
).
[A. S.]
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